
Il viaggio nel cuore del castrum. Dove le manovre dei mezzi elettrici diventano spericolate. Intanto il business galoppa e i turisti scelgono sempre di più le quattro ruote private.
di Antonio Passanese
C’era un tempo in cui Firenze si poteva attraversare a piedi, lentamente, respirando la storia incastonata nei suoi vicoli, con l’eco lieve dei passi sul lastricato e lo scampanellio delle biciclette. Oggi, invece, le strade del centro sembrano corsie accelerate di un parco divertimenti dove tutto si muove troppo in fretta, troppo rumorosamente, troppo vicino. Per capirlo basta un rapido giro nel castrum tra le 10 e le 11 sotto il solleone: risciò elettrici che sfiorano le gambe, golf car che avanzano a colpi di clacson tra comitive disorientate, Ncc in fila in via de’ Pecori e in via Roma che aspettano clienti senza neppure scendere dai veicoli e con i motori accessi: dentro aria condizionata, fuori cappa di smog che finisce dritta nei polmoni. "Tre giorni fa – si sfoga uno dei residenti superstiti di via Roma – un caddy ha rischiato di mettere sotto un signora con bimbo alla mano". E in effetti la ’barba’ che i veicoli fanno ai passanti e roba di centimetri. "Ma c’è di peggio – spiegano ancora – a volte le ambulanze sono proprio in difficoltà a passare". E farsi largo fra risciò e calca dei turisti diventa impresa.
In Calimala, Por Santa Maria, via Tornabuoni, piazza della Repubblica e piazza Santa Croce non si cammina: si dribbla. L’ingresso a piazza San Giovanni, invece, è diventato lo sfondo per partenze improvvise, sterzate, frenate e selfie in mezzo alla carreggiata. E nessuno più alza lo sguardo su quei capolavori che un tempo incantavano il mondo. Il rispetto dello spazio comune è svanito. Ciascuno segue il proprio percorso, improvvisato, istintivo, senza curarsi degli altri. A parlare sono i numeri. I risciò ormai non si contano più: in 60 minuti quelli che passano nel fazzoletto di strade sono almeno 20. Uno ogni 3 minuti in pratica. Leggeri ma invadenti, si infilano ovunque. Si fermano dove vogliono, bloccano incroci, sfiorano i passanti e a volte fanno zigzag tra tavolini e bambini. A bordo, turisti accaldati e spaesati, molti dei quali sembrano più frastornati che incantati.
Le golf car elettriche e i caddy, spesso pieni fino all’inverosimile, sfrecciano tra le strette vie dell’area Unesco come se fossero su un circuito privato. Frenano all’improvviso per una foto, si fermano davanti ai negozi, ripartono tagliando la strada a chi cammina. Alcune imboccano perfino strade e piazze pedonali. Ne sono una dimostrazione quelli che tutte le mattine entrano in quella di Santo Spirito bloccando l’accesso alla scalinata e al sagrato. Tutti in fila (come dimostrano le foto scattate, e pubblicate da La Nazione nei giorni scorsi, dai residenti e i comitati dell’Oltrarno accompagnate da una lettera aperta alla sindaca Funaro e a tutta la giunta. Firenze, schiacciata dal peso del suo stesso successo, si trova ostaggio di un turismo che ne usa le strade come tapis roulant, dimenticando che lì vivono persone, lavorano artigiani, camminano bambini e anziani. Il centro è diventato una giungla d’asfalto e ruote, dove ognuno fa quel che vuole.
Chi ancora abita in Oltrarno o tra Sant’Ambrogio e Santa Croce si sveglia con il ronzio dei motori e si addormenta con il riflesso delle luci artificiali che filtrano dalle finestre. Le vie sono popolate fino a notte fonda, ma non da fiorentini. La città, da cuore abitato, è diventata superficie attraversata. I suoi ritmi non sono più quelli delle stagioni ma quelli dei check-in, del rumore assordate dei trolley, dei flussi organizzati, delle file per un gelato o per un tramonto da fotografare.