
Lo psicologo Paolo Crepet ritiene che i principali responsabili dell’irresponsabilità dei figli siano i genitori distratti dai social
Firenze, 13 maggio 2025 – Ricostruire una rete sociale oggi inesistente, far capire la gravità del gesto discutendone a scuola, investire come Paese sull’educazione. Perché per lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet il gesto dei ragazzini denunciati per essere saliti sulla gru del cantiere Esselunga di via Mariti non è colpa dei social, ma soprattutto della “distrazione” dei genitori di oggi, quella sì frutto di un utilizzo sbagliato della Rete.
Una bravata senza rispetto nemmeno per una tragedia come quella di via Mariti. Perché?
“Anche io e lei l’avremmo fatta se avessimo avuto dei genitori distratti. Questi ragazzini, una volta tornati a casa, non so a che ora, che cosa hanno trovato? Forse qualcuno che ha fatto tardi sui social. Non ci siamo più come persone, abbiamo altri interessi, mentre una volta ci sarebbero stati i nonni, gli zii, l’allenatore di calcio. Una volta esisteva un firmamento di persone adulte che avevano nei confronti dell’infanzia un ruolo utile. Adesso tutto questo non c’è più, quindi tutto è possibile. Non è colpa dei social, ma è nostra”.
In cosa sbagliamo?
“Sui social si potrebbe anche cercare Carducci, mica è proibito. Si possono usare anche in maniera virtuosa. Il nulla cosmico dei social esiste perché l’abbiamo voluto, ci è garbato come direste in Toscana”.
Cosa si può fare secondo lei?
“Tornare indietro è molto complicato. Bisognerebbe recuperare l’autorità perduta di certe figure, perché l’autorità è autorevolezza e questa oggi è certamente compromessa, non c’è dubbio. Spero che i genitori di questi ragazzini abbiano preso provvedimenti, perché non sapere che fare o cosa dire di fronte ad un caso del genere sarebbe un fallimento. Per la mia esperienza, però, credo che sia stato fatto qualcosa di debole e fragile”.
Perché la rete sociale intorno ai ragazzini non funziona più?
“Perché non c’è, adesso non esiste un luogo dove si discute di educazione. Se ne parla solo quando c’è la cronaca, ma è penoso che ci siano genitori che di notte aspettano in auto i loro figli sperando che facciano le tre invece che le cinque. Che messaggio è?”.
Perché non si rispetta nemmeno più la morte entrando in un cantiere dove hanno perso la vita cinque persone?
“Se è così facile dare una coltellata durante una serata di movida, il resto viene ricatalogato come sciocchezza. Il problema è che pensiamo che a 13 anni i ragazzini siano già adolescenti, ma se in passato a 13 anni era giusto vivere una vita regolamentata, perché non dovrebbe essere così anche ora? Non è che nel frattempo il cervello si è evoluto. Di Adolescence hanno parlato tutti, ma nessuno ha guardato il titolo: Adolescenza, appunto, e il protagonista è un tredicenne. Se l’adolescenza parte a 13 anni qualcuno finisca i conti”.
Quale ruolo può avere la scuola?
“Mi piacerebbe che episodi come questo di via Mariti fossero discussi in classe. Vorrei leggere i pensieri dei ragazzi, che magari ci sorprenderebbero. Portare il caso in aula servirebbe a far capire loro la gravità della situazione. Io da padre ringrazierei i professori”.
I genitori meno ’distratti’ cosa possono fare?
“Non basta arrabbiarsi, servono provvedimenti. Ad esempio impedire le uscite per un periodo. Bisogna però ragionare da Stato. Se la Francia ha vietato l’uso dei telefonini a scuola fino alla terza media vuol dire che ci sono risultati concreti. Hanno visto che i ragazzi a ragionare insieme crescevano più entusiasti e intelligenti e non c’è dubbio che sia così. Uno Stato ha il dovere di prenderne atto e agire. Noi invece abbiamo paura dei giovani e non mettiamo più una regola”.