
In centinaia ai funerali dell’ex difensore. Il dolore dei vecchi compagni degli anni Ottanta. Antognoni: "Ci chiederemo sempre perché". I tifosi di un tempo con la mitica maglia numero 5.
FIRENZE
Come nei destini grandiosi e beffardi degli eroi c’è sempre qualcosa che alla fine ritorna. E ieri, nella caligine della Santissima Annunziata, le lacrime di Renato Buso hanno come chiuso un ciclo iniziato quella notte maledetta, il 2 maggio del 1990, quando l’arroganza bianconera schiantò la fantasia viola, dove il potere piegò il cuore, senza però spezzarlo.
E quel grido di rabbia di Celeste – che ieri Firenze ha abbracciato per l’ultima volta – quella sera di 35 anni fa davanti alle telecamere di mezza Italia riecheggiava nella basilica. Sordo, silente. Ma c’era. ’La Coppa è vostra – tanto va sempre a finire così – ma in un mondo giusto è nostra’. E’ il messaggio che lascia Pin.
Per questo l’ex capitano, volato in cielo a soli 64 anni per una sua drammatica volontà, era cucito sottopelle nel cuore di un’intera generazione di tifosi. Perché era un uomo mite e onesto ma poco avvezzo a piegarsi alle ingiustizie. Roba che da queste parti piace sempre. E il suo lascito ieri era negli occhi lustri del suo ’compagno veneto’ Buso, dietro gli occhiali scuri di Alberto Di Chiara, nella fronte aggrottata di dolore di Giovanni Galli, nello sguardo triste di ’Antonio’, l’unico 10.
Erano in tanti a dirgli ’ciao’, da Moreno Roggi al ’giovane Malusci’ cui Celeste fece da chioccia, da Gianmatteo Mareggini a Roberto Galbiati, da Alessio Tendi e Claudio Desolati. C’era Sauro Fattori che attraversa la navata, nervosamente, senza darsi pace. Distrutto si abbandona su di una panca Furio Valcareggi che non regge la commozione.
Come Giovanni Galli, che defilato durante la funzione, si gira e rigira tra le mani un foglio dove di notte ha scritto di getto, cercando di rimettere in fila i pensieri che sono tanti. Ma alla fine non riesce ad andare sull’altare a leggere quelle parole che iniziano con ’Caro Celeste’: "Ci pensa il Capitano (Antognoni, ndr) a parlare per tutti noi". Troppe le emozioni per il portierone che prova ad esorcizzare il dolore con il sorriso.
"Devo ringraziare i suoi genitori, perché nome più azzeccato, Celeste, non potevano scegliere – dice Antognoni dal pulpito –. Sono qui, siamo qui tutti noi per chiedere perché è successo, ce lo chiederemo spesso, purtroppo non abbiamo risposte. Con Celeste siamo stati amici per tanti anni, in campo e fuori, un ragazzo perbene. Gli auguro che riposi in pace".
Volti tirati di quei ragazzi che hanno diviso lo spogliatoio e condiviso gioie e amarezze di quegli anni. Ci sono insomma tutti quelli che a fine carriera hanno scelto di rimanere a vivere in una città che è entrata nell’anima di tutti loro.
C’era la Fiorentina di oggi con il direttore sportivo Daniele Pradé e il direttore generale Alessandro Ferrari, che hanno appoggiato sulla bara, dove campeggiava una corona di fiori di Rocco Commisso, la maglia che lo stesso Pin donò al Viola Park: "Difficile trovare le parole – dice il massimo dirigente viola –, penso alla sua famiglia e ai tifosi che gli volevano bene. Peccato che nessuno di noi ha capito cosa gli stava succedendo". Letizia Perini, assessora allo sport di Palazzo Vecchio, ha detto "grazie" a Pin a nome della città e "non solo come calciatore ma come uomo". Mentre il presidente della Regione, Eugenio Giani, si è trattenuto a lungo con i familiari ricordando la sua lunga amicizia con Pin.
Avrebbe voluto esserci anche Ranieri Pontello, il presidente del ’terzo scudetto’ che era legato a Celeste a filo doppio, considerato che era il giocatore con più lunga militanza sotto la gestione della famiglia dei costruttori fiorentini. Trattenuto fuori Firenze, come altri ex che avrebbero voluto salutare per l’ultima volta quel ragazzo buono, dal sorriso sornione, malinconico, ma magnetico. Diventato adulto nella città che più amava. Commovente l’ultimo saluto di Gianfranco Monti all’amico Celeste. La mano che si appoggia sul feretro dentro il carro funebre, gli occhi nascosti da lenti scure che servono soprattutto a mascherare le lacrime.
E poi la gente di Firenze. Fa impressione vedere un paio di maglie originali con il numero 5, lo stesso adagiato con devozione sul feretro (la maglia è del Perugia, l’altra sua squadra, insieme al Verona), coperto da gigli viola e bianchi, che spuntano tra le tante sciarpe lasciate con emozione.
Commosso il ricordo di una delle volontarie dell’Associazione di solidarietà Banda Albereta che aveva visto coinvolto più volte Pin in aiuto ai bambini "Si è sempre donato senza chiedere nulla, senza risparmiarsi e il suo entusiasmo ci mancherà". E mancherà anche a tutti quei bambini che hanno iniziato a giocare a pallone negli anni più belli; quelli dei Pulcini e Pulcine.
Emanuele Baldi
Giampaolo Marchini