
La prima mostra a 17 anni con un’amica. "Ma la prima ’da grande’ ha cambiato la mia vita". È tra le poche donne a realizzare affreschi. "Un’impresa quello commissionato dall’Aeronautica". .
Ha portato l’arte tra le vigne e le cantine, in una fusione perfetta tra pittura e vino. Elisabetta Rogai è famosa in tutto il mondo per l’enoarte, la tecnica di dipingere con il vino (studiata insieme al professor Bianchini dell’Università di Firenze) che col passare del tempo cambia colore seguendo l’ossidazione naturale del vino. Una forma d’arte innovativa che la porta a esporre subito a Los Angeles. "Avevo messo sui social le mie eno-opere, qui in Italia storcevano un po’ il naso mentre in America ne furono entusiasti. Da lì è partito tutto" racconta, sottolineando come oltre al quadro propone "un’esperienza sensoriale, abbinando il mio lavoro dal vivo alle degustazioni".
Brunello o Tavernello? "Utilizzo solo vini di alta qualità. E il Brunello è il mio preferito: maestoso, potente e generoso. Ho creato quadri anche con l’aceto balsamico, altri con il rosé: cambia il colore ma non quella voglia di sperimentare che mi ha spinto fino a qui".
Ma chi è Elisabetta Rogai? "Una donna tenace e determinata. Nella prima vita sono stata insegnante, mamma e moglie. Ora sono una pittrice".
E l’infanzia? "Un bellissimo periodo. Ero una bimba super buona, molto educata e un po’ schiava della pulizia. Ho vissuto a Tavarnuzze con i genitori fino a 22 anni, cioè quando mi sono sposata con Marco, il mio grande amore".
Si ricorda il primo bacio? "Come fosse ieri. È stato il primo bacio che davo a un ragazzo, avevamo 17 anni e mezzo. E Ornella Vanoni cantava ‘L’appuntamento’ a casa della mia amica Barbara Pieri, a Roveta. Qualche giorno dopo Marco si presenta davanti a scuola in Vespa e mi chiede di pranzare insieme. Io gli dico che in Vespa non salgo, così andiamo a piedi al Jo Club a mangiare una pizza. La domenica successiva è scattato il bacio. Avevo conosciuto Marco, insieme ad altri amici, a casa della cara Gianna Nuti, che è venuta a mancare a 18 anni per una brutta malattia che lei non sapeva di avere. Per me fu un duro colpo, eravamo molto legate e condividevamo l’amore per la pittura".
Quando ha iniziato a dipingere? "A nove anni e ho fatto la mia prima mostra a 17 anni, proprio insieme a Gianna. Poi però ho messo pennelli e tavolozza in un angolo...".
Come mai? "I miei non vollero iscrivermi al liceo artistico, dicevano che era la a scuola dei ’capelloni e drogati’. Così ho frequentato le magistrali, andavo al Capponi. E alla fine sono diventata insegnante".
E si è sposata.. "Sì, il 26 luglio 1975. L’anno dopo è nata Francesca e nel 1984 Bernardo. La maggiore mi ha dato la gioia di diventare nonna: mio nipote si chiama Guglielmo, ha 14 anni e mezzo, frequenta il liceo scientifico ma avrebbe voluto fare l’artistico, come me. E io lo esorto a non far spegnere quella passione".
Come nasce il suo amore per la pittura? "Nasce con me. Da bambina dipingevo sempre, di giorno e di notte. Attraverso la pittura esprimo i miei sentimenti, me stessa, i suoni e colori della vita in campagna di quando ero bambina. E, infatti, i paesaggi stile Macchiaioli sono stati il mio primo soggetto, poi sono passata alla natura morta. Ho preso lezioni da un maestro per imparare anatomia artistica. Un altro mio grande tema sono i cavalli che segnano anche la mia carriera artistica, dai cavalli scossi del Palio di Siena del 2015 ai ritratti di Andrea Bocelli a cavallo per la sua Fondazione".
Quando e come arriva la sua seconda vita? "All’inizio del Duemila quando ho ripreso a fare mostre su sollecitazione di amici. Una su tutti Monica Baldi, allora parlamentare. Ormai i figli erano grandi e io trascorrevo tanto tempo in terrazza con i pennelli, tanto che una parte l’ho trasformata in studio. Dal 2008 ho uno studio grande: un loft attaccato alla Manifattura Tabacchi. Nel 2001 arriva la mia prima mostra ‘da grande’: ’L’Essenza dell’essere’ allestita all’Officina Profumo Farmaceutica Santa Maria Novella di Firenze, invitata dall’allora proprietario Eugenio Alphandery. In quel momento mi sono ripresa la mia vita. Nel 2003 ho smesso di insegnare per dedicarmi alla pittura. Adesso sono accademica dell’Accademia delle Arti del Disegno".
È tra le poche artiste donne a realizzare affreschi... "Sì, nel 2011 ho realizzato una tavola lignea con tecnica d’affresco, rappresentante il Battesimo di Cristo, opera che è stata collocata all’interno della Villa medicea di Artimino. Una seconda si trova nell’antica pieve di San Pietro in Bossolo di Tavarnelle. Ho realizzato anche l’affresco celebrativo per i 70 anni della Scuola di guerra aerea di Firenze, è stata un’impresa".
Ci racconta? "Beh, l’opera doveva celebrare un anniversario importante, volevano qualcosa di evocativo in positivo. Ovviamente avevano chiesto anche ad altri, così quando finalmente arrivò la telefonata per affidarmi l’incarico fui felicissima e al tempo stesso spaventata, da un lato per la corsa contro il tempo per la consegna, dall’altra mi chiedevo se fossi stata all’altezza visto che il mio lavoro sarebbe dovuto stare vicino a un’opera di Annigoni e le pitture murali di Colacicchi. Altro che farfalle nello stomaco! Alla fine, però, è nata ‘Luce, aria e cielo’: l’allegoria dell’Arma aeronautica come una splendida donna, con in mano una corona di alloro, attraverso la quale passano sette aerei, (uno per ogni dieci anni dal 1938 al 2008) con sullo sfondo il panorama di Firenze, avvolta dalle tonalità dell’azzurro, il colore delle uniformi che dà l’idea di una città allegra, ridente e aperta".
Firenze la dipingerebbe ancora così? "Ultimamente Firenze non vede o non vuol vedere le risorse che ha. Prendiamo il mio caso: mi cercano e mi premiano in tutto il mondo: America, Giappone, solo tra Cina ed Hong Kong sono stata quattro volte, ma lasciamo stare. Un lavoro importante per Firenze è il ritratto di Oriana Fallaci, che si trova nella collezione del Consiglio regionale della Toscana. L’olio su tela, mi fu chiesto subito dopo la morte della giornalista dall’allora presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini, ma preziosa è stata la disponibilità dell’allora direttore del Giornale della Toscana, Riccardo Mazzoni, che mi raccontò talmente tanti aneddoti che mi sembrò di averla conosciuta".
Come si passa dal ‘classico’ olio su tela al marmo dipinto con il vino? "Mi piace lavorare su più supporti, sperimentare. La tecnica ‘più vecchia’ è l’olio su jeans, è come scolpire, bisogna far emergere la luce. Ed è l’opposto del vino perché in quel caso occorre valorizzare le ombre. Lo vedrete nella mia prossima mostra , ma per adesso top secret per scaramanzia Devo ammettere che il marmo e il travertino con il vino mi danno tante soddisfazioni. Non mi sono mai cimentata con la scultura ma mai dire mai. Sono molto curiosa e non mi accontento mai. Unica nel mio genere? Sì, mi piacciono le cose uniche".