
Il direttore artistico Andrea Scanzi: "I cantautori? Una delle più grandi eccellenze del Novecento"
"Sono cresciuto in una famiglia dove si masticava, si ascoltava, si rifletteva tutti i giorni sui cantautori. Sono cresciuto in mezzo ai vinili di De André, Guccini, Battiato, Bennato, Graziani, Gaber, tutto quel mondo lì. Per certi versi erano amici di famiglia, li vivevo, li ascoltavo, li conoscevo". Parola di Andrea Scanzi, giornalista, scrittore, autore che da quindici anni racconta a teatro Giorgio Gaber e che sul Signor G si laureò nel 2000. Domani (fino al 17 luglio) inizia la terza edizione de ’La Gaberiana’ (di cui Scanzi è direttore artistico), festival dedicato alla memoria e all’eredità artistica di Gaber che si snoda tra piazza Gaber, piazza dell’Isolotto e la Limonaia di Villa Strozzi.
Gaber è una costante della sua vita, compresa la tesi di laurea. "Sì, ma non solo lui. Mi sono reso conto, molto prima di altri, che i cantautori erano dei poeti o comunque i migliori cantautori italiani meritavano un’attenzione letteraria che si può tranquillamente paragonare a quella che di solito si dedica ai poeti. All’epoca – parlo degli anni Novanta – si riteneva che i cantautori fossero poeti di serie b, laddove gli scrittori e poeti erano di serie a. Io non lo pensavo e non lo penso neppure adesso. Ora è diventato normale chiamare poeta Guccini, filosofo Gaber, dare Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Per me lo era anche trent’anni fa. I cantautori sono una delle più grandi eccellenze del Novecento".
Come nasce la sua passione per Gaber? "È ereditaria. Per mio padre Gaber era una sorta di dio, un fratello maggiore, un padre, insomma un punto di riferimento assoluto. La mia motivazione personale è diventata anche artistica quando mi sono reso conto che Gaber era, è e sarà un gigante: per i testi, le musiche, la presenza scenica, la forza teatrale, la coerenza, il rigore, la profondità, per avere scritto delle cose che valgono oggi e varranno probabilmente anche tra 300 anni. Tutto questo fa sì che io sia profondamente gaberiano".
E il festival La Gaberiana? "Nasce tre anni fa quando l’allora sindaco Nardella, anche lui appassionato di Gaber, mi diede carta bianca per un festival dedicato a Giorgio. Me lo disse a una cena dopo uno spettacolo su Gaber: spesso a tavola si ’sparano’ molte idee che poi non vengono realizzate. Ma non in questo caso".
La prima volta che ha visto Gaber? "A Fiesole nel 1991. Lui stava facendo lo spettacolo ’Teatro canzone’ in cui era tornato a parlare di politica. Io ero a teatro con mio padre, avevo 17 anni. Eravamo proprio sotto il palco. Scattai delle fotografie in bianco e nero che vennero bene. Sono state ’fortunate’ perché diventare copertine di dischi e di libri, una è stata scelta anche dalla Fondazione Gaber come foto classica. Quella sera a Fiesole, non lo incontrai. Così come agli spettacoli che vidi successivamente, al massimo gli stringevo la mano in camerino. Da quella prima volta mi ci sono voluti otto anni per intervistarlo, qui a Firenze, prima di uno spettacolo al Teatro Verdi. Fu di una gentilezza disarmante: da allora nacque una bella amicizia, nonostante la differenza di età. Gaber rimase colpito da me, si chiedeva come un ragazzo così giovane, che poteva essere suo figlio se non nipote, sapesse tutto su di lui. L’ultima volta che l’ho visto è stato sempre a Firenze, nella primavera del 2001 quando presentò ’La mia generazione ha perso’ al Puccini. Al temine andai a salutarlo in camerino, era già molto malato".
Quali sono i ‘requisiti’ per essere gaberiani? "Bisogna amare veramente Gaber, un amore vero, profondo".
Il programma della Gaberiana: https://www.lagaberiana.it/