
Sabato alle 21 al Liberi Tutti Festival. Il leader Finaz: "Vogliamo dare un segnale per il nostro Parsifal"
Era metà marzo quando il Rimaggio esondò a Sesto Fiorentino e l’alluvione distrusse il Parsifal, la storica sala prove che aveva dato origine alla Bandabardò. Scendere in strada per dare una mano fu un atto spontaneo e i membri della Banda non ci pensarono un secondo a indossare gli stivali. Per questo il loro ritorno a Sesto Fiorentino, stavolta sul palco del Liberi Tutti Festival, sabato sera alle 21, ha un significato in più: è mostrare ancora una volta la vicinanza a una popolazione che è stata capace di farsi comunità in un momento difficile. Ne parliamo con il leader Finaz.
Com’è arrivare sul palco del Liberi Tutti dopo l’alluvione di marzo?
"Quel palco è sempre stato importante per noi e perché festeggia la Liberazione di Sesto dal nazifascismo. Poi lì c’è il Parsifal, dove siamo nati, l’8 marzo 1993, che è stato distrutto dal fango. Quando abbiamo saputo dell’alluvione, è stato come se ci crollasse il mondo addosso, siamo subito andati a dare una mano. E Sesto si è dimostrata una comunità che ha reagito legandosi, in modo disinteressato. Salire sul palco vuol dire testimoniare, portare spensieratezza ma anche reagire".
Qualche giorno fa l’incendio al Viper. Cos’è per voi?
"Il Viper è gestito da amici storici con cui abbiamo organizzato i migliori concerti della Banda. Purtroppo non abbiamo mai fatto un nostro concerto, ma lì facevamo le prove generali. Abbiamo calcato il palco come ospiti, ma lo abbiamo anche frequentato da spettatori: era l’ultimo baluardo della musica live di un certo tipo. Nell’ultimo anno è come se la musica a Firenze fosse stata presa di mira: prima la Parsifal, ora il Viper. Spero possa ripartire il prima possibile".
Il 2025 è anche l’anno di ‘Fandango’, il vostro ultimo album. Com’è questo disco?
"È il disco della rinascita. Dopo che Enrico ci ha lasciato nel 2021, stavamo per abbandonare. Poi ci siamo rimessi in gioco traghettandoci, con Cisco Bellotti. Abbiamo, però, pensato che fosse giusto andare avanti con le nostre gambe, con un disco nuovo, non volevamo diventare la tribute band di noi stessi. In copertina c’è un fiore di loto, il fiore che nasce dal fango, dove rischiavamo di rimanere e da cui siamo usciti".
‘Notti di luna e falò’ è una canzone in ricordo di Erriquez. Com’è nata?
"Non volevo scrivere una canzone dedicata a Enrico. In una crisi di insonnia, però, ho preso la chitarra e iniziato a suonare un valzer: è uscita una sua descrizione, attraverso le sue parole. Quando Carmen Consoli ha sentito il brano, ha deciso di partecipare, arrangiando l’orchestra finale e aggiungendo la voce. In un’epoca in cui i duetti nascono a caso, la spontaneità è stata importante".
Siete alle battute finali del tour estivo. C’è un ritorno alla musica suonata?
"Sì, abbiamo visto tanti giovani che conoscevano le nostre canzoni, che volevano vedere uno show suonato. Basta con le date in cui si schiaccia un tasto e parte tutto preconfezionato. Infastidisce quando ai concerti cade il microfono e la voce va avanti. Sono però ottimista, perché tutto il carrozzone della musica in playback e del finto sold out è venuto a noia. La musica è un’altra cosa".