FIRENZE
Cronaca

Il parto diventa trauma. Le mamme confessano: "Quelle mani dentro noi. Ti senti solo un oggetto"

Poca empatia, perdita della dignità e atteggiamenti spiacevoli . Il racconto di ciò che alcune madri hanno passato in ospedale. L’osservatorio OvoItalia: "Fenomeno diffuso, ma ancora invisibile".

Poca empatia, perdita della dignità e atteggiamenti spiacevoli . Il racconto di ciò che alcune madri hanno passato in ospedale. L’osservatorio OvoItalia: "Fenomeno diffuso, ma ancora invisibile".

Poca empatia, perdita della dignità e atteggiamenti spiacevoli . Il racconto di ciò che alcune madri hanno passato in ospedale. L’osservatorio OvoItalia: "Fenomeno diffuso, ma ancora invisibile".

di Elena Burigana

"È stata un esperienza devastante, ti infilano tutti queste mani senza dirti nulla, non c’è nessuna empatia". Così Caterina (32 anni) ricorda la sua esperienza di parto in un ospedale fiorentino. Un travaglio durato 4 giorni, durante le quali è stata sottoposta a 3 induzioni. "Dopo la seconda induzione, che non diede nessun risultato – racconta - cominciarono ad apparire ovunque ostetriche e ginecologi. Avevano tutti pareri molto discordanti su quello che si sarebbe dovuto fare. Io non capivo nulla in tutta quella confusione. Una ginecologa che non conoscevo, ma che ho amato moltissimo per la sicurezza che mi trasmise, mi disse ’Caterina guarda, se continua così fatti fare il cesareo e non farti più toccare’. Ho dovuto spingere per talmente tanto tempo durante quei 4 giorni che quando sono uscita dall’ospedale non ci vedevo più da un occhio. Un parto infinito, solo a raccontarlo mi vengono i brividi. Non ho mai capito perché quel cesareo non me l’hanno fatto".

L’avvocata Alessandra Battisti, cofondatrice di OVOItalia, cerca di dare una definizione al fenomeno – diffuso nel nostro Paese ma ancora invisibile – asserendo che: "la violenza ostetrica si basa su due opposti: da un lato l’ipermedicalizzazione e l’interventismo eccessivo, dall’altro la carenza assistenziale". Si tratta di un grave problema di salute pubblica globale, come affermato dall’Oms nella Dichiarazione del 30 settembre 2014, che mette a rischio il benessere e la salute bio-psico-sociale della madre e del bambino. E i ricordi di quei giorni restano per sempre stampati nella mente delle neo mamme.

"Ma il ricordo peggiore che ho – prosegue Caterina – è quello di tutte queste mani dentro me. Quello che mi bucò il sacco, quello che mi fece lo scollamento, erano tutte persone diverse. Addirittura venne una ragazza tirocinante che, non so con quale coraggio dopo che ero lì da giorni a tentare di partorire, mi disse ’scusa posso sentire anch’io la testa del bambino, perché sai… sto imparando’. Io in quel momento volevo morire, però che fai? Non riesci nemmeno a dire no. Mi sembrava di essere una stazione, dove entrano e escono i treni, dove passano tutti. Non so in quale barlume di lucidità, quando ho visto la ginecologa che stava per farmi l’episiotomia ho urlato di tutto per fermarla. Mi disse che mi avrebbe fatto fare un ultima spinta e se non fosse uscito mi avrebbero tagliata".

Ma anche i momenti subito dopo il parto non sono stati semplici per Caterina. "Mi hanno lasciata sola in una stanza con il bambino – afferma – e lì mi prese il panico. È come se ti venisse detto ’hai voluto fare un figlio, l’hai messo al mondo, allora devi sapere a prescindere come funzionano le cose’. Si dà tutto per scontato. Ho trovato conforto nelle oss. Loro cercano di spiegarti tutto, ti attaccano il bambino al seno, ti fanno una carezza, un sorriso, ti danno un supporto a livello umano".

Una delle frasi più comuni riportate dalle donne che credono di aver subito una forma di violenza ostetrica è: "Parlava di me, ma non parlava con me". A riferirlo è sempre l’avvocata Alessandra Battisti, cofondatrice di OvoItalia. Parole che riassumono anche le esperienze di Elisa (36 anni) e Andrea (36 anni), che hanno dovuto affrontare – tra fine 2024 la prima e inizio 2025 la seconda – un aborto spontaneo. Il fumus di una violenza ostetrica infatti non avviene solo durante il cosiddetto percorso nascita: gravidanza, parto e puerperio. Ma anche in quei casi in cui non è possibile portare a termine la gravidanza. In che modo? Atteggiamenti, da parte del personale ospedaliero (non solo ostetrico), che nell’ottica delle mamme rischiano di sminuire il dolore provato. Elisa racconta: "Ti senti un pezzo di carne. Mai una parola di conforto. Zero empatia. Ti fanno visitare dalle specializzande che non parlano con te come se fossi una persona, ma solo un caso clinico. Guardano il monitor e, mentre tu stai passando uno dei momenti più brutti della tua vita, dicono cose come ’si si tutto apposto, un aborto pulito’". Andrea ricorda: "Ero nel reparto ostetricia e ginecologia del pronto soccorso. Riportavo dolori e perdite ingenti. Mi hanno fatto attendere per più di due ore in una sala d’attesa piena di donne incinte e felici che dovevano fare i controlli. Non hanno mai fatto entrare il mio compagno, nemmeno nel reparto. Ho affrontato tutto da sola. Mi hanno trattato con tanta freddezza e distacco. La dottoressa non mi guardava nemmeno in faccia, ma parlava con la sua studentessa. Le disse ’devi fare pratica, guarda tu, dimmi tu cosa vedi e io lo metto nel report’. Ho scoperto che avevo perso il bambino quando la studentessa disse voce alta ’vedo la camera vuota, non sento battito’".