Firenze, 2 agosto 2025 Una proposta di legge per favorire la promozione e la diffusione della figura del caregiver familiare. L’atto, illustrato in aula dal presidente della commissione Sanità, Enrico Sostegni (Pd), è stato approvato all’unanimità dal Consiglio toscano. Punta a definire il ruolo del caregiver, descrive gli interventi della Regione sul tema, stanzia 75mila euro l’anno per il Centro di ascolto e 100mila euro per progetti del terzo settore.

“Questa legge – ha detto l’assessora regionale al sociale, Serena Spinelli - intende innanzitutto inquadrare nella normativa regionale, in particolare nel rapporto con la rete dei servizi sociosanitari, la figura del caregiver familiare, che in tante famiglie svolge un compito prezioso e difficile”. Si stima che in Europa una persona su tre sia un “caregiver” e che si dedichi quindi a curare i propri cari non autosufficienti (anziani, malati, disabili). Un universo in gran parte sommerso, che emerge solo quando scatta la richiesta di sostegno. Al Centro di ascolto toscano, per esempio, fra il 2022 e il 2024, si sono rivolti 602 “caregiver”, con una netta prevalenza di donne (72%). Il Fondo nazionale per il sostegno al “caregiver” familiare invece, fra il 2018 e il 2023, ha erogato in Toscana 9.934.284 euro.
I beneficiati (578 nel 2021) sono stati 883 nel 2023. Nel 2024, a fronte di 1.811.685 di risorse, sono stati supportati 761 caregiver, mentre sono da poco arrivati dal Ministero 2.106.000 euro per il 2025. Per permetterne l’erogazione, è stata predisposta a giugno una delibera di giunta: il decreto è in corso di certificazione e le risorse saranno a breve liquidate a Sds/Zone distretto che le assegneranno. Nel frattempo, in alcune aree il contributo si è interrotto, mentre altre lo hanno portato avanti anticipando le risorse.
La norma prevede per ogni avente diritto 400 euro al mese, erogati dopo la richiesta di presa in carico e la valutazione della persona malata o non autosufficiente. Non esiste un limite Isee, ma in Toscana ha priorità chi non ha avuto accesso al Fondo per le disabilità gravissime per mancanza di risorse; non è beneficiario di altri contributi, prestazioni assistenziali o congedi straordinari retribuiti; le famiglie monoreddito o nuclei monoparentali. Il numero delle richieste però è così alto che diversi restano esclusi.
La storia di Stefano Giovannini
Una voce potente. Che grida ancora. Anche se sua madre non c’è più. Non grida per mettersi in mostra né per strumentalizzare. Grida perché ha visto e vissuto un inferno di sacrificio, dolore e solitudine e ora ci mette la voce e l’emozione per quanti non ne hanno la forza o la possibilità. Perché qualcuno faccia finalmente davvero qualcosa di concreto per aiutare le persone non autosufficienti e per chi se ne prende cura.
Stefano Giovannini, 67 anni, fiorentino, ha assistito da solo la madre fino alla fine. E racconta un calvario fatto di burocrazia, mancanza di risposte, abbandono istituzionale. La sua storia è quella di migliaia di toscani invisibili. Ha lasciato il lavoro di una vita, in una catena della grande distribuzione, ha messo da parte anche la propria salute, ha consumato ogni energia e ogni risorsa. L’ha fatto per amore di sua madre. Per non vederla spegnersi in una Rsa. Ha lottato per essere aiutato ma che cosa ha ottenuto? Nessun sostegno reale, nessuna risposta concreta.
Quando è cominciato il calvario?
«Diciotto anni fa. Mia madre fece un intervento al ginocchio, una protesi che andò male. Da lì una lenta, ma inesorabile discesa. La situazione è degenerata. Non c’erano più spazi per la mia vita: sono andato ad abitare con lei. Diversamente non potevamo farcela, economicamente. E così ho dovuto rinunciare al mio lavoro, con il congedo parentale della legge 104 per la non autosufficienza sono riuscito ad andare in pensione precocemente».
Ha avuto un supporto dai servizi?
«Pochissimo. Cinquanta minuto al giorno di assistenza domiciliare, due volte alla settimana un’ora e cinquanta. Ma era tutto a tempo di cronometro. Momenti che mi hanno consentito di allontanarmi da casa per l’essenziale, fare la spesa, le commissioni, affrontare la burocrazia».
E la sua vita?
«Azzerata. Non ho più avuto vita sociale. Io e mamma non avevamo altri parenti. Eravamo soli. Io e lei. La sera non potevo lasciarla sola, era in carrozzina».
Come si è sentito?
«Isolato dal mondo esterno. Nessun coordinamento. L’assistente sociale arrivava fin dove poteva, ma era oberata. E poi, stop».
Ha mai pensato di prendere una badante?
«Certo, ma non sapevamo nemmeno da dove cominciare. Non c’erano soldi. E nemmeno lo spazio: vivevamo in 40 metri quadri. E intanto la situazione peggiorava. Quando ho iniziato a scrivere raffiche di mail alla sindaca di Firenze e agli assessori, dopo 24 ore mi richiamavano con tono sollecito. Con promesse. Mi dicevano che sarebbero intervenuti. Ma dopo le parole, il silenzio».
Ha avuto momenti in cui ha temuto di non farcela?
«Continuamente. Ero preoccupato soprattutto per una cosa: se mi fosse successo qualcosa, chi avrebbe aiutato mia madre? Con la demenza, aveva perso ogni riferimento. Non riconosceva più né casa sua né me».
C’è stato un momento che ha segnato il punto di non ritorno?
«Sì. A novembre scorso. Mia mamma è caduta: frattura all’anca non riconosciuta nel girone infernale del pronto soccorso. L’hanno poi vista dopo. L’hanno mandata alla struttura dei Fraticini sulla quale vorrei stendere un velo pietoso. Dovevo imboccarla io, perché lì li ingozzavano e se non mangiavano pazienza. Poi a casa ho fatto tutto da solo. Persino imparare dai tutorial su internet come sollevarla dal letto».
Ha avuto accesso al diritto al sollievo?
«Sì, due mesi. Ma hanno proposto strutture lontanissime. Avrei dovuto pagare 1.300 euro al mese che dopo il sollievo sarebbero diventati 3.000. Avrei dovuto investire tutta la mia liquidazione».
E alla fine?
«Mi hanno dovuto aiutare. Ero preso costantemente dall’ansia. Poi mia madre è morta, a 94 anni, poco tempo fa. L’ho accompagnata fin dentro il crematorio: per starle accanto ho dovuto pagare. L’ho trovata una cosa di cattivo gusto. Adesso resto io. A pezzi. E mi devo curare».