LUCA SCARLINI
Cronaca

Brunelleschi e quel talento nascosto. E la Francia lo consacrò stilista

Lasciò Montemurlo per cercare fortuna a Parigi con Soffici e Costetti. Si fece conoscere con le illustrazioni .

Lasciò Montemurlo per cercare fortuna a Parigi con Soffici e Costetti. Si fece conoscere con le illustrazioni .

Lasciò Montemurlo per cercare fortuna a Parigi con Soffici e Costetti. Si fece conoscere con le illustrazioni .

Luca ScarliniDa Montemurlo a Parigi la strada è lunga e Umberto Brunelleschi, di cui ha una ricca collezione l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, (1879-1949) l’aveva fatta, insieme a altri due giovani artisti di belle speranze: Ardengo Soffici e Giovanni Costetti.

Erano partiti, con pochi mezzi, all’alba del secolo, nel 1900, attratti dalla lusinga dell’Esposizione Universale. Nella Ville Lumière molti erano i toscani, già operava il livornese Leonetto Cappiello, che firmava manifesti a getto continuo.

Il talento del pittore delle maschere era proprio per l’illustrazione, la moda lo chiamò a sé subito, con incarichi importanti. Disegnò alcune immagini per il celebre grande magazzino delle mode Au Bon Marché, che Emile Zola scelse come ambientazione per il suo romanzo di denuncia Au Bonheur des Dames, come anche per le sontuose pagine dell’autorevole “Journal des Dames et des Modes”.

Nel 1919-1920 fu direttore di una rivista, di breve durata, ma notevole impatto artistico: La Guirlande de l’Art et de la Litterature, in cui aveva spazio la moda. La creazione di abiti per l’artista fu allo stesso modo diretta al teatro e all’eleganza.

Negli anni ’20 creò vestiti magnifici per Josephine Baker, all’interno di produzioni importanti de Les Folies Bergères e del Casino de Paris. Con un’attività frenetica si mise in luce come maestro di un Settecento aggraziato, di maniera talvolta, ma sempre elegante, che rivisitava con notevole inventiva l’eredità della Commedia dell’Arte.

Per il Journal des Dames et Modes, nel 1914, disegnò il notevole ciclo de Le maschere italiane, che gli dettero celebrità in tutta Europa. Giacomo Puccini fu subito tra i suoi estimatori: "Turandot è quasi a fine. Penso a lei per i figurini. Potrà e vorrà farmeli? Io spero di sì. Ci terrei molto ad avere la sua arte accoppiata alla mia. (…) L’opera è forte e in alcune parti grottesca. Deve essere una China remota e antichissima".

I costumi ci furono, bellissimi, mirabili. Ne fa fede una lussuosa pubblicazione Ricordi che presenta i figurini, ma i bauli non giunsero in tempo e per la famosa prima produzione della Scala nel 1924 si rimedìò con le creazioni più tradizionali di Caramba. Sotto la matita di Brunelleschi tutto diventava sinuoso, che si trattasse di tavole patriottiche sulla rivista dei militari “La Tradotta” nella Prima Guerra Mondiale, della trasformazione in ambigue creature dei soldati al fronte nel romanzo di guerra per ragazzi La ghirlandetta di Teresah, al secolo Corinna Teresa Ubertis, 1915) o della rèclame di una nuova cipria.

Puccini per il suo segno elegante diventò una sequenza armonica di grigio, bianco, nero e rosa, con il volto quasi nascosto nel bavero del cappotto. In Francia il suo successo non venne meno, sulla scena, fino alla Seconda Guerra Mondiale: nel 1934 l’artista vestì con abiti di sogno Josephine Baker nell’operetta di Offenbach La créole.

Poi fu Firenze a offrigli una occasione: nella città dove si era distinto in memorabili spettacoli di beneficienza /dai titoli soavi come Un po’ di colore, nel 1915, in cui tutta la nobiltà fiorentina si presentava in scena, nel 1940 il Maggio gli offrì la possibilità di proporre infine la sua Turandot. Fu uno spettacolo memorabile: il suggello di una carriera nata sotto il segno della felicità di invenzione.

Nel 1938, mentre dappertutto risuonava i clamori della guerra, presentendo la fine dell’epoca déco di cui era stato squisito interprete, si rappresentò come un Pulcinella stanco, dopo l’ennesima rappresentazione del suo spettacolo, il quale, tolta la maschera, dichiarava, sconsolato: “la commedia è finita”.