FIRENZE
Cronaca

Addio ad Aurelio Scelba. Il grande giornalismo di un maestro gentiluomo

Si è spento a 89 anni, fu lo storico caporedattore de La Nazione .

Si è spento a 89 anni, fu lo storico caporedattore de La Nazione .

Si è spento a 89 anni, fu lo storico caporedattore de La Nazione .

di Cesare Sartori

Ieri notte ci ha lasciato Aurelio Scelba, per tanti anni una delle colonne portanti de La Nazione: storico caposervizio degli Interni, poi caporedattore centrale quando Luciano Satta andò in pensione. Un gentiluomo d’altri tempi. Ma soprattutto un maestro di giornalismo e un esempio di correttezza e dirittura morale per quella banda di giovanotti di belle speranze (quorum ego) che aveva intorno e che seppe guidare con fermezza ma con molto, molto affetto nella loro avventura professionale.

Personalmente devo a Gianni, come veniva appellato nella famiglia Scelba, oltre che a Satta e ad Alberto Marcolin (ma sono sicuro che tanti altri ex giovani colleghi che ci hanno lavorato insieme concorderanno con me), l’insegnamento dei fondamentali della professione giornalistica: non soltanto come va scritto un pezzo o fatta un’intervista, ma anche come va corretto e aggiustato quello scritto da un collega, come va impaginato (la gerarchia delle notizie) e soprattutto come va titolato ("Saper fare i titoli è un’arte!", mi ripeteva, dopo che per l’ennesima volta aveva buttato nel cestino il mio titolo a una o due colonne perché "non rende").

Ma oltre a tutto questo, fin da quel pomeriggio d’ottobre del 1978 quando misi piede per la prima volta, spaesato e un po’ spaventato, nella redazione interni de La Nazione, Aurelio ha rappresentato per me sia una figura paterna sia a volte quella di fratello maggiore, un punto di riferimento fondamentale per uno che era appena sbarcato nel ’pianeta ’ dalla lontana e provinciale galassia friulana. Per anni, sera dopo sera, con qualunque tempo, l’ho accompagnato a casa a piedi (lui stava in via della Stufa, io in via San Gallo): Gianni col suo abituale passo veloce e l’impermeabile Burberry alla tenente Sheridan gettato sulle spalle, io con la bicicletta a mano. Fumava e parlava, io ascoltavo (grande lettore, devo a lui, fra tutte le altre cose che gli devo, la scoperta di uno dei capolavori letterari del ‘900: le ’Memorie di Adriano’ della Yourcenar). "’Notte, a domani, Aurelio", gli dicevo lasciandolo. "No, domani sono di ‘corta’; mi leggerò un po’ di Tacito o di Cicerone", mi rispondeva lui. Li leggeva in latino, ovviamente.

A Gianni devo moltissimo, gli devo l’essere potuto rimanere al mio posto, aver potuto mantenere il lavoro in un momento per me molto difficile e delicato. Da lui (che non aveva avuto figli, ma che sarebbe stato uno splendido anche se impegnativo babbo) mi sono sentito in qualche modo adottato e investito di una fiducia, umana e professionale, per cui gli sono e gli sarò sempre grato. Orgogliosamente legato alla sua Sicilia (e a Palermo: quante volte ci ha ricordato che sua mamma abitava a Palazzo de Spuches in via Maqueda), Gianni si era ben ambientato nel pur non facile ambiente fiorentino talvolta così escludente con i ‘foresti’. Adorava, ricambiato, i nipoti e i pronipoti: passare da e fare visita allo zio Gianni non è mai stato considerato un obbligo di famiglia per tutti loro, bensì un piacere. Ora, con dolore, ti devo salutare Aurelio, ma non ti dimenticherò. E come me tantissimi altri. Com’è che ci dicevi tu? Ah, sì: "Ciao crema!".