
Un operatore del settore pelle (foto di repertorio)
La conceria ha sempre saputo interpretare i cambiamenti, innovare, crescere nei settori della moda, del lusso, dell’auto, dell’arredamento. Ma stavolta il problema è radicato in un mercato debole e instabile risultato di una combinazione letale di fattori: conflitti internazionali, inflazione, instabilità geopolitica ma anche mutamenti nei consumi. Il pubblico del lusso si mostra meno affezionato al prodotto fisico, e l’alto di gamma fatica a trovare un equilibrio tra valore e prezzo. Poi ci sono i dazi Usa, e c’è l’apprezzamento dell’euro sul dollaro (+13% dall’inizio dell’anno alla fine di giugno). Una situazione, questa, che potrebbe frenare in modo sensibile l’export verso il mercato strategico gli Stati Uniti. Il timore diffuso – dei sindacati e delle istituzioni (lo vanno ripetendo da mesi e mesi) – è che, sotto questi colpi, possa vacillare la tenuta di un distretto che conta circa 6mila posti di lavoro e vale un miliardo e mezzo dell’export nel mondo. Un distretto racchiuso in un fazzoletto di Toscana (fra Fucecchio, Santa Croce e Ponte a Egola) vocato alla pelle, al cuoio e alla calzatura: un’eccellenza nel mondo.
I dazi, appunto, pur meno pesanti di quanto annunciato, saranno un peso in più in una situazione del comparto già complessa. Lo ha sottolineato nei giorni scorsi anche Giovanna Ceolini, presidente di Confindustria Accessori Moda. "La decisione dell’amministrazione statunitense di fissare al 15% i dazi sulle importazioni provenienti dall’Unione Europea, tra cui rientrano anche i prodotti delle aziende che rappresentiamo, è il “male minore” che possiamo affrontare – ha spiegato –. Questa scelta, sebbene meno penalizzante rispetto alle ipotesi iniziali di dazi ancora più elevati, rappresenta una misura che comunque avrà effetti complessivamente negativi per il settore degli accessori moda: ricordiamo infatti che l’indebolimento del dollaro è già da solo un fattore di aggravio".
Inoltre i dazi potranno incidere in maniera rilevante sui margini aziendali e sulla competitività delle imprese italiane negli Stati Uniti, uno dei mercati di riferimento per l’export del Made in Italy. "Il rischio – ha ammesso Ceolini – è quello di rallentare investimenti, occupazione e capacità di crescita in un momento già reso fragile da uno scenario economico e geopolitico complesso". Uno scenario nel quale neppure i grandi gruppi del lusso quotati in Borsa mostrano segnali di inversione di tendenza. Anche i comparti dell’arredo – dopo il boom del 2020 – e dell’automotive, alle prese con crisi più profonde, non riescono a trainare la ripresa. Quasi una tempesta perfetta.
Carlo Baroni