
Le perquisizioni delle scorse settimane al carcere della Dogaia a Prato hanno svelato un sistema che la procura ha definito «fuori controllo»
Prato, 18 luglio 2025 – Un altro episodio gravissimo scuote la Casa Circondariale “La Dogaia” di Prato. Questa mattina è stato rinvenuto senza vita il corpo di un detenuto rumeno di 58 anni, all’interno della sezione isolamento, dove stava scontando una sanzione disciplinare.
Secondo quanto comunicato, l’uomo aveva precedenti per violenza sessuale, maltrattamenti, calunnia, minacce e lesioni personali. La fine pena era prevista per il 24 febbraio 2026. Aveva preso parte attiva alla rivolta scoppiata nel penitenziario lo scorso 5 luglio ed era stato trovato in possesso di armi rudimentali.
All’interno della cella non sono stati ritrovati strumenti che possano far pensare a un gesto suicida – nessuna corda, né lacci – e al momento non si esclude alcuna ipotesi. Sul posto è intervenuto il medico legale e sarà disposta un’autopsia. Sono in corso accertamenti anche attraverso l’analisi delle telecamere di videosorveglianza.
Il fatto arriva in un contesto già drammaticamente compromesso. Solo ieri, durante una perquisizione, sono stati sequestrati 5 grammi di hashish suddivisi in dieci dosi all’interno della camera 198 dell’ottava sezione.

Dal 1° luglio 2024 ad oggi, inoltre, sono stati trovati e sequestrati quattro telefoni cellulari, ma altri risultano ancora nella disponibilità dei detenuti. Elemento particolarmente grave: queste criticità si estendono anche alla sezione di isolamento, che dovrebbe essere una delle aree più controllate dell’intero istituto.
L’amministrazione del carcere, in una nota, ammette la gravità della situazione: “Sussiste uno specifico interesse pubblico nel far conoscere quanto accade nella casa circondariale di Prato. È emerso un preoccupante ricorso alla violenza da parte di gruppi di detenuti ai danni di altri e una estrema facilità di movimento, anche nelle sezioni teoricamente più protette”.
Una crisi annunciata: il bollettino di una struttura fuori controllo
Il dramma di oggi si inserisce in un contesto già segnato da numerosi episodi critici. La Dogaia è da tempo teatro di violenze, disordini e falle sistemiche. Il 5 luglio, un gruppo di detenuti si è barricato nella prima sezione della media sicurezza, rovesciando carrelli, tentando di incendiare materiali e sfondando i cancelli delle celle con le brande. Nei giorni precedenti, un detenuto è evaso – il quinto in un solo anno – e un altro, l’uomo che aveva confessato il femminicidio di Denisa Maria Paun e di un’altra donna, Ana Maria Andrei, è stato aggredito da un altro detenuto con un pentolino di olio bollente.
Nelle settimane scorse una maxi-perquisizione aveva portato alla luce un traffico sistematico di telefoni cellulari, smartwatch, Sim e sostanze stupefacenti. Gli oggetti venivano introdotti nel carcere nascosti nei modi più ingegnosi: dentro i palloni lanciati nel cortile, nei pacchi portati dai familiari, o addirittura murati nelle celle.
Secondo la procura, che ha aperto diverse inchieste, la situazione è «fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità». A questo si aggiungono i due casi di presunti stupri e torture tra detenuti avvenuti nel 2020 e nel 2023, ora al vaglio della magistratura.
A differenza di molte altre carceri italiane, La Dogaia non soffre di sovraffollamento (591 detenuti per 589 posti), ma paga il prezzo di una carenza di figure apicali. Manca un direttore pienamente operativo, da oltre due anni è vacante il posto di comandante del reparto, e risultano scoperti l’80% dei ruoli dirigenziali.
Il procuratore capo di Prato, Luca Tescaroli, ha più volte denunciato pubblicamente l’assenza di strumenti adeguati, come telecamere e sistemi d’allarme, oltre alla carenza di interlocutori stabili all’interno dell’istituto.
A rendere ancora più drammatica la situazione è l’alto numero di detenuti con problemi psichiatrici e dipendenze, spesso trasferiti a Prato da altri istituti per l’impossibilità di gestirli altrove.