
La procura riferisce due episodi di detenuti violentati da altri detenuti. Ieri nuova perquisizione durata sette ore: trovate armi artigianali e altri cellulari. Dall’Alta sicurezza la diretta sui social. Tescaroli apre un fascicolo sulle ultime rivolte.
Violenze sessuali e torture. Detenuti in possesso di telefonini, tanto da arrivare a postare addirittura un video da una cella su TikTok con il detenuto-influencer che dialoga con i suoi follower. Altri router per collegarsi al web. Più la lente della procura si stringe sul carcere di Prato, più il quadro che emerge è da brividi. A partire dall’incubo che alcuni detenuti sono stati costretti a vivere. La procura guidata da Luca Tescaroli riferisce di casi di violenza sessuale tra detenuti. In particolare due episodi vengono definiti "agghiaccianti".
VIOLENZE SESSUALI E TORTURE. Il primo caso risale al settembre 2023: un 32enne brasiliano è accusato di aver violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio. L’uomo è ora indagato per violenza sessuale aggravata. Il secondo caso, avvenuto tra il 12 e il 14 gennaio 2020, riguarda due detenuti - di 36 e 47 anni - che avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria. Le serie lesioni riportate si sono accompagnate a gravi traumi psicologici, con conseguenze perdurate per mesi. I due aguzzini sono stati rinviati a giudizio e il processo è in corso. Episodi, spiega in una nota la procura, che "i sistemi di controllo non riescono ad arginare" e che rendono "insicura e non dignitosa la vita dei detenuti".
CELLULARI E ROUTER. Intanto le indagini proseguono con nuove perquisizioni e sequestri in corso anche nella giornata di ieri, con la procura supportata della squadra mobile di Prato, dal nucleo investigativo della polizia penitenziaria, dai carabinieri e dalla Guardia di finanza. La perquisizione di ieri è durata sette ore e molto altro materiale (ad esempio un cellulare nascosto in un doppiofondo dello sportello del frigorifero) è stato portato via. I magistrati vogliono verificare anche alcune "condotte collusive" interne alla struttura. Al vaglio ci sarebbe il ruolo di alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria, mentre è stato chiesto il coinvolgimento del prefetto e del questore per rafforzare la sicurezza anche all’esterno del carcere. L’allarme lanciato dalla Procura è chiaro: "I detenuti hanno dimostrato la capacità di gestire l’afflusso e l’occultamento di strumenti di comunicazione in maniera sistematica, spesso con la complicità o l’omissione di chi dovrebbe vigilare".
Dal luglio 2024 al giugno 2025 sono stati sequestrati ben 41 telefoni cellulari, tre sim card e un router. Solo il 5 luglio scorso è stato rinvenuto un altro telefono in una cella della sezione di Media Sicurezza. Dalle indagini è emerso l’uso di altri cellulari non rinvenuti durante il blitz del 28 giugno e l’uso di almeno tre altri router per la connessione alla rete, "segno di un controllo sofisticato degli spazi da parte di gruppi organizzati, che approfittano della libertà di movimento concessa ad alcuni detenuti e della compiacenza di agenti della penitenziaria", osserva il procuratore.
IL VIDEO DALLA CELLA SUI SOCIAL. Un episodio è emblematico: un detenuto in regime di Alta Sicurezza (dove si trova chi sconta una pena anche per reati di stampo mafioso) è persino riuscito a pubblicare immagini della propria cella su TikTok. Nella diretta video si sente che dialoga con i suoi follower. La ripresa è dalla branda. L’accento è napoletano. Risate, applausi, scorrono i cuoricini di chi guarda il live del ‘detenuto-influencer’. Il mondo di fuori e il mondo di dentro che si toccano, interagiscono e si guardano all’ombra di un carcere vulnerabile, fragilissimo e, va ricordato, in perenne sofferenza di organico e sistemi di controllo adeguati. Per forza di cose la Dogaia diventa una polveriera.
INCHIESTA SULLE ULTIME RIVOLTE. In questi ultimi anni le notizie delle rivolte in carcere si sono moltiplicate. Ora la procura ha aperto un fascicolo su due rivolte avvenute di recente. Il primo episodio è del 4 giugno: protagonisti cinque detenuti, di nazionalità italiana, marocchina e libica, ristretti nella quinta sezione del reparto Media Sicurezza. I cinque, armati di uno spranga ricavata dal profilo metallico della finestra di sezione, divelta, armi rudimentali ricavate da suppellettili, una bomboletta a gas, una grappa artigianale bollente, un cacciavite, un paio di forbici e uno sgabello, hanno minacciavato di morte il personale di Polizia Penitenziaria intervenuto. Un inferno scatenato perché non volevano rientrare nelle rispettive celle per dormire. "Stasera non rientriamo perchè vogliamo fare la guerra": l’urlo contro gli agenti. Dell’ultima rivolta, quella del 5 luglio, abbiamo raccontato anche in questi giorni, ma ora la procura svela più dettagli. Un gruppo di almeno dieci detenuti della prima sezione del reparto Media Sicurezza si è barricato nella sezione rovesciando il carrello del vitto contro il cancello di sbarramento per impedire l’accesso degli agenti di vigilanza. Si sono scatenati impugnando armi artigianali, cacciaviti, fornellini muniti di bomboletta, pedaliere prelevate da carrozzine, una pentola e altro materiale. La rivolta è stata sedata grazie all’intervento degli agenti penitenziari antisommossa. La procura pratese ha avviato un procedimento per i delitti di rivolta, di resistenza a pubblico ufficiale, di lesioni, di danneggiamento. E il messaggio è chiaro: "La situazione alla Dogaia è fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità".
Maristella Carbonin