
Il presidio di fronte al palazzo di giustizia
Arezzo, 17 settembre 2025 – Sono quaranta i lavoratori precari del Tribunale di Arezzo che da giugno 2026 rischiano di rimanere a casa. Quaranta lavoratori e quaranta famiglie tra le 12.000 di dipendenti precari a livello nazionale, inseriti nell’organico di ogni Tribunale e Corte d’ Appello d’Italia da oltre 3 anni grazie al Pnrr e oggi in bilico. Ad Arezzo il personale a termine rappresenta quasi la metà della forza lavoro del palazzo di giustizia: 36 funzionari, un operatore data entry e tre tecnici, su un organico complessivo di 106 unità. Presenze qualificate che nel giro di pochi anni hanno consentito al tribunale di raggiungere risultati concreti: nel settore civile la riduzione dei procedimenti pendenti da più di tre anni ha toccato il 95%, mentre nel penale le tempistiche sono scese del 73%, superando di gran lunga il 25% richiesto dal Pnrr. Oggi però su questo personale pende l’incognita del taglio ministeriale.
«Stamani abbiamo fatto il presidio e raccolto le firme – racconta Stefano Tiberini, funzionario dell’Ufficio per il processo –. Con noi c’erano alcuni magistrati, insieme alla presidente della sezione penale Lo Prete. Lo sciopero, indetto con la Cgil, rappresenta un primo passo in attesa di risposte dal ministero e dal governo». La richiesta è chiara: la stabilizzazione integrale di tutti i lavoratori. L’adesione è stata quasi totale: «Eravamo in 38, vicini al 100%. Senza di noi si rischia un rallentamento sostanziale dei procedimenti civili e penali. Si tornerebbe ai tempi biblici di prima della nostra assunzione, se non peggio, perché i numeri nel frattempo sono aumentati. Si prospetta un allungamento dei tempi della giustizia e un blocco delle cancellerie. Se qui ad Arezzo sarebbe un rallentamento forte, a livello nazionale avremmo una paralisi». I primi assunti a febbraio 2022, poi a scaglioni fino ai mesi scorsi. «Segno evidente che il bisogno di personale c’è – continua Tiberini –. Eppure il ministero ha usato i concorsi del Pnrr come un tappabuchi, senza affrontare le carenze strutturali. Siamo un gruppo eterogeneo: dai neolaureati ai 26-27enni, fino a ex avvocati con famiglie e figli». Un senso di profonda incertezza mista a rammarico e rabbia. «È in gioco non soltanto il nostro destino – conclude Tiberini – ma la tenuta degli uffici giudiziari. Senza stabilizzazione rischiamo il collasso».