Arezzo, 20 febbraio 2024 – ”È come stare dentro a un gigantesco Shangai". Una notte nel cantiere della morte, fianco a fianco coi vigili del fuoco impegnati senza sosta nella ricerca del quinto operaio. Movimenti prudenti, tra le macerie, pilastri venuti giù, solai collassati gli uni sugli altri. E quella trave maledetta, che sbarra la strada aperta con fatica, centimetro dopo centimetro, per raggiungere il punto dove potrebbe trovarsi la persona che ancora manca all’appello. Il punto è stato individuato e gli specialisti della squadra Usar ieri mattina hanno trovato indicazioni ed elementi più precisi che conducono nella zona poco distante dal l’area dove gli altri quattro operai sono stati sepolti da tonnellate di cemento e ferro.
"È stata una notte impegnativa che non dimenticheremo", dicono Francesca Berna, medico del 118 e Samuele Pacchi, coordinatore degli infermieri. Proprio lui, un anno fa, ha lavorato nell’inferno della Turchia colpita dal terremoto e insieme a Sara Montemerani ha strappato due persone alle macerie: vive e oggi in buona salute.
I suoi occhi hanno rivisto le scene di allora, anche se "qui lo scenario è completamente diverso". Perché nel cantiere della morte, a Firenze, c’è da combattere con una trave del peso di quaranta tonnellate che nemmeno la gru è riuscita a tenere sospesa e c e n’è voluta una più potente per ancorarla evitando l’effetto "spada di Damocle" sulla testa dei vigili del fuoco, un pericolo costante che ha accompagnato il lavoro di questi giorni frenetici di ricerche. Per Samuele la differenza tra l’esperienza in Turchia e la lunga notte tra le macerie di via Mariti, la fa un dettaglio, non irrilevante, dentro il quale è racchiuso il racconto di chi non ce l’ha fatta e di chi, invece, ha avuto un’altra possibilità. Vite spezzate e vite rinate.
La differenza sta "negli effetti personali che nello scenario del terremoto affioravano tra le case sbriciolate e i cumuli di detriti; mentre qui c’è solo cemento, ferro, lo scheletro di un gigante che ha collassato ". Francesca descrive il meticoloso lavoro dei vigili del fuoco e paragona lo scenario del crollo a un gigantesco "Shangai, dove se muovi una pedina, anche le altre si muovono e l’equilibrio cambia. La notte è stata all’insegna di grandi manovre tecniche per mettere in sicurezza l’area sottostante l’enorme trave inclinata che ostacolava le operazioni dei vigili del fuoco. Solo verso le tre questo lavoro si è completato e sono ripartite le ricerche dell’ultima persona che risulta scomparsa". Samuele aggiunge i dettagli di "uno scenario particolare per le dimensioni che lasciano senza parole, vedendolo in tv non ci si rende conto dell’enormità di questi solai collassati. Il nostro compito nella squadra Usar è quello di dare supporto all’operato dei vigili del fuoco. Come operatori sanitari dobbiamo cercare le persone e trarre in salvo i feriti o recuperare le vittime, ma soprattutto il nostro incarico è assicurare l’intervento sui vigili del fuoco in caso di incidente".
Le emozioni le hanno lasciate fuori dal cantiere illuminato a giorno nell’ennesima notte di ricerche ma a fine turno, nel viaggio di ritorno ad Arezzo, riaffiorano nitide tra i ricordi di un’esperienza che lascia il segno: "Ci hanno colpito le storie delle persone che non ce l’hanno fatta e di chi è scampato alla morte per un soffio". In quel cantiere prima di loro hanno lavorato altri aretini: Luca Pancioni, disaster manager del 118, gli infermieri Martina Portolani e Maurizio Marini. Dal giorno della tragedia c’è sempre stato Marco Covani, vigile del fuoco e team manager della squadra Usar Toscana. Fino a ieri, quando ha consegnato il testimone ad altri colleghi. Ma le ore tra le macerie del cantiere della morte, gli resteranno appiccicate alla divisa.