FILIPPO BONI
Cronaca

Nel nome delle rose. Le memorie dei Fineschi. Anime e storie intrecciate di un giardino incantato

Un volume ripercorre la storia della famiglia che ha portato anche alla nascita dell’orto botanico più importante d’Italia dedicato al fiore per antonomasia.

Un volume ripercorre la storia della famiglia che ha portato anche alla nascita dell’orto botanico più importante d’Italia dedicato al fiore per antonomasia.

Un volume ripercorre la storia della famiglia che ha portato anche alla nascita dell’orto botanico più importante d’Italia dedicato al fiore per antonomasia.

Boni

Esiste una specie di rosa, la Rosa Memorie, che è un ibrido molto vigoroso. Possiede un fiore doppio, di colore bianco, profumato, e un fogliame verde scuro che rende questo cespuglio molto elegante. È rifiorente. Fiorisce dall’ inizio della primavera fino all’ arrivo del freddo. Predilige posizioni soleggiate. Non teme il freddo. Cresce da qualche parte anche nel meraviglioso Roseto Fineschi di Cavriglia, fiorisce i primi giorni di aprile e si spegne in ottobre, portando in sé e con sé la linfa intima ma universale della storia della famiglia che dette vita a quel luogo magico e che al contempo ora, ha deciso di fermare le proprie memorie nel libro "Una storia Toscana, epistolario e memorie della famiglia Fineschi, Cavriglia (1880-2017)" (Aska editore, 2025).

"Tanti bacini dal tuo Massimo". In questa chiusa semplice e struggente si concentra il senso di una vita intera, e forse anche di molte altre, silenziosamente attraversate dalla Storia con la S maiuscola. Le lettere che compongono Una storia toscana – quell’epistolario e quelle memorie raccolte con pazienza certosina da Antonella Fineschi – ci restituiscono qualcosa di più profondo di una cronaca familiare legata visceralmente a Cavriglia: ci offrono un varco verso la dimensione più intima dell’umano nel tempo, là dove le ferite della guerra, la malinconia dell’esilio, la dolcezza dei legami e il peso dell’eredità si stringono in un’unica, vibrante melodia.

Il gesto di Massimo, a cui è dedicato il libro, ragazzo malato, che nel 1940 scrive al “caro babbino” impegnato nel deserto libico – e lo fa con la semplicità disarmante di chi sa che il tempo gli è nemico – è l’archetipo di tutti i figli separati dai padri dalla guerra, dalla morte, dal destino. "La mia unica croce ora è l’assoluta immobilità", scrive. Eppure, quelle parole, affidate a un foglio e a un’intimità impossibile da raggiungere, viaggiano attraverso il Novecento come un testimone della memoria, come una bottiglia affidata a un mare in tempesta. In queste pagine, Cavriglia e la famiglia Fineschi diventano il cuore pulsante di una microstoria che risuona all’unisono con la grande Storia. E proprio per questo, questo libro non è un semplice volume di memorie: è una soglia.

Una porta che si apre sull’esistenza vissuta fra le righe, sulle crepe del tempo, sulla realtà incerta che abita tra la vita privata e i grandi eventi collettivi di una famiglia che a Cavriglia ha segnato il corso della storia: in un secolo ha avuto due sindaci, Giuseppe e Rambaldo in una discendenza familiare virtuosa, senza dimenticare Gianfranco, ortopedico, musicista e botanico di fama internazionale scomparso nel 2010 e fondatore del roseto insieme alla moglie Carla. Come ha scritto Elias Canetti, "ogni famiglia è un’isola, ma ciascuna isola ha le sue onde, le sue tempeste, i suoi naufragi e i suoi approdi".

E in "Una storia toscana" quelle tempeste si chiamano miniere, guerre mondiali, esilio, deportazione, lavoro, ricostruzione, progresso industriale. Ma anche amore, pazienza, corrispondenza, attesa. Il libro ricompone i frammenti di un’identità collettiva, con lo sguardo teso su due assi narrativi fondamentali: famiglia e territorio.

La famiglia Fineschi si muove in uno spazio che cambia volto, che si trasforma da campagna a città-fabbrica, da cava a deserto umano, da rifugio a teatro. E nel frattempo cresce, combatte, perde, ricorda. La voce di Antonella Fineschi, curatrice e discendente, non è neutrale. È, come direbbe Carlo Ginzburg, “uno sguardo ravvicinato”. Uno sguardo che non giudica ma abita, che non spiega ma accompagna, che non analizza ma ricuce. Qui "il passaggio di un grande momento storico" convive con "l’impossibile ricomposizione tra due mondi": quello dell’attesa e quello della perdita, quello del prima e quello dell’ora.

"Arriveranno altre anime", scrive Maria Cristina Fineschi. E in quei versi sospesi – che evocano una catarsi mai definitiva – c’è la vera eredità di questa storia: un passaggio di testimone malinconico ma tenace, il tentativo di salvare il senso dal naufragio della modernità. Le anime arriveranno, sì, e magari non sapranno nulla di lignite, di Cavriglia, del Casalone, delle rose o di Rambaldo. Ma quel filo invisibile che attraversa le generazioni resterà. Come uno spettro, come un faro. E il dolore condiviso diventa narrazione, la narrazione memoria, la memoria futuro.

"Una famiglia non è mai soltanto ciò che è stata – scrive Natalia Ginzburg – ma ciò che continua a essere per chi ne porta il nome o l’eco". E così "Una storia toscana" diventa molto più di un libro: è un’eco, è il respiro lungo di un secolo con le storie di Caterina Viciani, Angiolo, Nella e Leafosca Fineschi, figli di Giuseppe e fratelli di Rambaldo. E poi quelle di Elvira Giannozzi, Gianfranco e Maria Paola Fineschi.

È la Storia, la loro storia, che, per una volta, non si racconta dai palazzi del potere, ma dal cuore delle case, dai letti dei malati, dai campi di prigionia, dai bordi di fotografie ingiallite dal tempo. Queste anime ora vagano tra i profumi di queste rose che il vento confonde e abitano il cuore di chi cammina in questi viali, ma ora rivivono anche in queste pagine, ci respirano vicine, diventano anche i nostri familiari. Non solo quelli appartenenti al mosaico profondo di questa storia. Una storia vera, finalmente, e perciò profondamente universale.