
Preoccupa l'effetto dei dazi sul mercato dell'oro e sul distretto aretino (Foto di repertorio)
Arezzo, 12 agosto 2025 – La guerra commerciale avviata dagli Stati Uniti non risparmia nessun settore e ora punta dritta al cuore del mercato dei metalli preziosi. C’è anche l’oro nel mirino delle nuove tariffe doganali volute dall’amministrazione Trump. Una scelta che, seppur diretta contro la Svizzera, rischia di avere effetti tangibili anche sul distretto orafo di Arezzo, polo produttivo più importante a livello europeo. Il provvedimento statunitense colpisce in particolare i lingotti da un chilo, il formato preferito dagli operatori americani, che rappresenta la maggior parte delle esportazioni elvetiche verso gli Stati Uniti. La Us Customs and Border Protection, con una decisione resa nota il 31 luglio, ha stabilito che questi lingotti, insieme a quelli da 100 once (2,8 chili), rientrano tra i prodotti soggetti a un’imposta doganale del 39%. Una novità che ha spiazzato gli operatori internazionali, molti dei quali erano convinti che i metalli preziosi sarebbero rimasti fuori dal perimetro dei dazi.
Il percorso dell’oro fino al mercato Usa è ben rodato: i grandi lingotti da 400 once (11,3 chili), standard del mercato londinese, vengono inviati in Svizzera, dove subiscono un processo di fusione e trasformazione in pezzature più piccole, adatte alle esigenze di banche, fondi e investitori americani. Questo flusso commerciale ha un valore annuale di oltre 61 miliardi di dollari, che ora potrebbe subire un prelievo fiscale complessivo di quasi 24 miliardi.
Per Arezzo, che importa parte della materia prima proprio tramite il canale svizzero e fornisce prodotti finiti a clienti oltreoceano, la nuova misura apre un fronte di rischio concreto: prezzi di approvvigionamento più alti, possibili ritardi nelle consegne e margini di profitto ridotti. Il distretto aretino, già messo alla prova nei mesi scorsi dai dazi del 15% imposti sui gioielli italiani e dalle recenti tensioni commerciali con la Turchia, teme un ulteriore colpo in una fase già complessa per la domanda internazionale di gioielleria.
I mercati hanno reagito con un misto di prudenza e attesa. Dopo una settimana positiva, con un rialzo dell’1,1% spinto dalla ricerca di beni rifugio e dalle aspettative di un taglio dei tassi da parte della Fed, le quotazioni dell’oro sono scese sotto i 3.380 dollari l’oncia. Resta comunque vicino ai massimi storici, dopo un 2025 in cui il metallo ha guadagnato complessivamente il 27%, toccando a maggio quota 3.500 dollari.
Le relazioni tra Washington e Berna sono ai minimi storici. Secondo Bloomberg, non è esclusa un’esenzione per i lingotti da un chilo, ma la mancanza di conferme ufficiali mantiene alta la volatilità e l’incertezza. Per gli operatori, anche solo il dubbio di un dazio può bloccare ordini e alterare contratti di fornitura.
La mossa americana si colloca in un contesto geopolitico più ampio: la “dedollarizzazione” in corso da anni. Molte banche centrali, in particolare nei Paesi emergenti, stanno riducendo la quota di riserve in dollari per sostituirla con oro fisico, con acquisti medi di mille tonnellate l’anno. Gli Stati Uniti mantengono il primato mondiale con 8.133 tonnellate, seguiti dalla Germania con 3.350 e dall’Italia con 2.451 tonnellate, per un valore vicino ai 250 miliardi di euro.
Alcuni analisti leggono nella scelta di colpire l’oro anche un obiettivo nascosto: spingere le banche centrali a diversificare le riserve verso le criptovalute, in particolare verso gli stablecoin garantiti da titoli del Tesoro americano. Una strategia che, in un contesto di debito federale pari al 124% del Pil, aiuterebbe a sostenere la domanda di bond Usa sui mercati internazionali.
Le prossime settimane saranno decisive per capire la direzione di questa partita. Il 12 agosto scadrà l’ultimatum di Trump alla Cina per un nuovo accordo commerciale, mentre il 15 agosto in Alaska è previsto un faccia a faccia con Vladimir Putin per discutere della guerra in Ucraina. Nel frattempo, i mercati seguiranno da vicino i dati su inflazione, prezzi alla produzione e vendite al dettaglio negli Stati Uniti, nel tentativo di anticipare le prossime mosse della Federal Reserve.
Per il distretto orafo aretino, la sfida sarà riuscire a mantenere competitività e capacità di consegna in un quadro dove le decisioni prese a migliaia di chilometri di distanza possono avere conseguenze dirette sui bilanci delle aziende. Un’ulteriore prova di resistenza per un comparto che, nonostante le difficoltà, resta un simbolo di eccellenza italiana sui mercati mondiali.