
Patrizio Bertelli ha firmato. acquisizioni per salvare luoghi simbolo della città
Aveva iniziato appoggiando in punta di piedi l’intervento di recupero della Fortezza. Ma in fondo già in quell’assist alle mura della nostra storia c’era in sintesi un piano di lavoro. Che ora sta portando fino in fondo, in un’escalation inarrestabile. Patrizio Bertelli non avrà alimentato, come tanti tifosi avrebbero voluto, l’Arezzo e i suoi sogni, ma sta agendo con forza nella realtà aretina. L’apostrofo più o meno rosa lo ha scritto nella risposta alle Leboline. Perché per una volta non è entrato d’urgenza tra Pievi a rischio crollo e locali storici sull’orlo del burrone: no, ha accettato di spingersi su una lettura più profonda. "Ho ben presente quanto siano fondamentali l’impegno, la passione e la determinazione dei lavoratori che accompagnano gli imprenditori nei loro percorsi": lo scrive a loro ma sembra al tempo stesso sottolineare anni di imprenditoria, la sintesi del suo approccio alle sue aziende.
Parla alle Leboline ma sembra in contemporanea rivolgersi alle migliaia di dipendenti del mondo Prada. "Voi tutte siete state protagoniste dell’area di Via Ferraris e rimarrete nella sua memoria. Cercherò di capire come Arezzo possa “non dimenticare” una storia così significativa per tante lavoratrici e lavoratori". Parla come Patrizio Bertelli ma parla soprattutto nel nome di Arezzo. Lo aveva fatto, almeno pubblicamente, solo un’altra volta. Tanti anni fa, era il 2007. Entusiasta della mostra su Piero della Francesca allestita dalla Provincia, tanto da partecipare all’inaugurazione, aveva accettato una proposta di intervista della Nazione. E in quella occasione aveva spezzato una lancia per il futuro turistico di Arezzo. Arezzo che, diceva, "dovrebbe prendere coscienza che le sue opere d’arte costituiscono un ’asset’ fondamentale che può richiamare i turisti". Una presa di coscienza che non chiedeva solo alla politica ma anche a "commercianti e imprenditori" perché guadagnassero una visione di prospettiva a medio e a lungo termine. La frase chiave di allora? "Nessuno investe nella propria città ed è un errore che domina la cultura in questo momento". Da quel 2007 di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e spesso gli impegni lo hanno portato lontano, anche se qui ha continuato a "fare tana", si direbbe in slang aretino.
Ma quella convinzione è riemersa appena ha potuto, come un fiume carsico. E spiega tutte le mosse di questi ultimi anni. Il salvataggio di locali storici come la Buca di San Francesco e i Costanti, fino alla Capannaccia di Campriano. Piccole cose, come un’edicola strappata alla chiusura. Il soccorso alla Pieve, lì dove le risorse stanziate da anni non riescono ancora ad essere sfruttate. E ora perfino l’area Lebole, strappata al degrado e restituita, come scrive alle ex operaie, alla storia della città. Finora era intervenuto in soccorso di parti fondamentali della città, una sorta di servizio d’emergenza. Ora comincia ad innestare quelle mosse in una visione più ampia e d’insieme. In fondo la stessa che nel 2007 sollecitava a tutti gli aretini.
Lucia Bigozzi