
Migliavacca contrappone la voglia di far festa con le tensioni che attraversano le case e il mondo "San Donato è un esempio di speranza". Poi l’affondo contro le guerre. Cattedrale piena ad agosto .
"Abbiamo voglia di fare festa ma il mondo va da un’altra parte". Andrea Migliavacca per natura vede il bicchiere mezzo pieno. Ma mai come in questa San Donato sente l’accerchiamento di quanto sta accadendo intorno. Non cita la tragedia in autostrada, come forse tanti immaginavano che avrebbe fatto, una ferita profonda che ha attraversato la vita della diocesi e delle famiglie. Ma punta i riflettori sulla guerra. "Come fare festa se vogliamo lo sguardo a chi soffre in Ucraina per i bombardamenti? Come fare festa se ci turba ogni giorno e ci lascia sconcertati e senza parole quello che sta accadendo a Gaza e nella Cisgiordania, con l’uccisione ingiustificata di palestinesi innocenti, anche bambini e la fame e la carestia usate come armi di guerra e annientamento". È la Messa solenne in Cattedrale, davanti ad una chiesa comunque piena malgrado la rivalità del generale agosto. Di poche ore prima la notte dei fuochi, che pure Migliavacca ricorda, insieme al brindisi in Vescovado. Su quanto avviene in Terra Santa va a dritto, come ormai sta facendo da giorni. E così sul resto dei "nemici" che circondano la festa: le famiglie divise, lo sguardo sottratto ai poveri, i pericoli corsi dall’ambiente. E in un passaggio apre anche un capitolo che finora aveva solo sfiorato. "Come fare festa quando non crescono vocazioni a donare la vita nel matrimonio e nella vita consacrata e sacerdotale? Come fare festa quando le nostre comunità ecclesiali e parrocchiali fanno fatica a testimoniare la capacità di camminare insieme, in una esperienza sinodale?" Il vescovo, passata la luna di miele con la diocesi, punta il dito sui ritardi, anche della chiesa. Ma lascia non una porta ma un portone aperto alla speranza. "Il compito di un vescovo, come San Donato, è proprio questo: andare a dire a tutti, nella città e nelle nostre vallate, a chi sorride e a chi piange, a chi è in pace e a chi è in guerra che si può vivere, che il Signore, il buon pastore è con noi e allora tutto può diventare festa". Indica le ferite aperte, ma trae da San Donato l’esempio per andare avanti. Un’omelia dal doppio volto ma che alla fine diventa uno solo, un po’ come il calice frantumato e ricomposto dal santo tanto caro ad Arezzo e a mille altre diocesi italiane. La voglia di far festa, gli occhi aperti sulle violenze nel mondo. E nel cuore l’angoscia per quelle vittime in autostrada, che tra le vocazioni avevano scelta forse la più cristiana di tutte; la via della Misericordia.