
"L’ultimo giorno abbiamo varcato il piazzale e al cancello il pianto comune. Uno strappo". Ivana dà voce alla storia: "Ha cambiato la società aretina". Uno spazio per la memoria. .
"Abbiamo attraversato lentamente il piazzale e quando abbiamo sentito il cigolio della porta principale chiudersi alle nostre spalle, ci siamo guardate con le lacrime agli occhi e ci siamo dette: restiamo in contatto". Ivana Peluzzi è stata l’ultima operaia ad uscire dalla Lebole, nell’anno in cui la fabbrica ha smesso di respirare e con lei il futuro di oltre cinquemila dipendenti, in maggioranza donne. Che tra il lavoro nei reparti e i dibattiti nel piazzale hanno fatto un pezzo di storia della città. "La Lebole per noi è stata, non solo un posto di lavoro, ma la conquista dell’autonomia, una scuola di politica e di vita sociale. Le donne entrate in fabbrica venivano perlopiù dal mondo dell’agricoltura e vivevano in famiglie matriarcali dove la suocera aveva un ruolo predominante e loro erano sempre guidate dal marito". Ivana ha varcato i cancelli della Lebole nel 1968, aveva 18 anni, la più giovane nell’esercito dei grembiulini azzurri. È stata l’ultima segretaria del Consiglio di fabbrica e l’ultima operaia a lasciare la "città delle donne" (come la chiamavano allora), nel 2002. Oggi insieme a un gruppo di colleghe ha scritto una lettera aperta a Patrizio Bertelli chiedendo che nel progetto di rigenerazione della grande fabbrica dove lei ha lavorato per quarant’anni, sia lasciato "un segno di questa storia". Perchè "indipendentemente dalle nostre esperienze personali, la Lebole ha rappresentato uno dei cardini dello sviluppo industriale di Arezzo e il luogo principale dell’avvio al lavoro di migliaia di ragazze. L’area di via Ferraris è quindi un luogo della memoria della storia di Arezzo e, particolare, delle sue donne". Le Leboline lasciano all’imprenditore la celta di come custodire una memoria collettiva anche se il sogno di Ivana sarebbe quello di "vedere camminare gli aretini nel grande parco pubblico che, ho letto sui giornali, Bertelli potrebbe realizzare, e soffermarsi davanti al manufatto che ricorda la storia della fabbrica e delle sue donne. Vorrei che fosse creato qualcosa di bello per fare memoria della storia della Lebole ma anche un luogo in cui la gente può incontrarsi, passeggiare nel tempo libero e ricordare che è stato uno spazio di conquiste ma anche di sacrificio, con ritmi di lavoro serrato, i cottimi". Lei a seconda delle dimensioni dei pezzi assegnati, ne arrivava a fare trecento al giorno, come pure le colleghe. Nella lettera al manager le Leboline sottolineano le ragioni della richiesta: "Lasciamo a lei il compito di immaginare quale questo possa essere e noi vorremmo soltanto che Arezzo non dimenticasse. La storia corre oggi veloce e le persone dimenticano rapidamente. La nostra non è nostalgia ma l’idea di una comunità coesa che sa da dove viene, cosa hanno fatto le nonne e le bisnonne, i nonni e i bisnonni, quali sono stati i risultati positivi ma anche gli errori". Ma quella fabbrica che nei piani dell’imprenditore potrebbe diventare una "cittadella dello stile" con edifici-giardino come gli stabilimenti del Gruppo Prada a Valvigna, in Valdarno e l’idea di un grande parco pensato per gli aretini, rappresenta una sorta di testimone tra passato e futuro, un filo d’acciaio che non si spezza. Il filo di una continuità di idee e progetti che ne rappresenteranno l’anima. Perchè "ogni volta che passiamo davanti allo stabilimento abbandonato e in condizioni di degrado, abbiamo una stretta al cuore. In quei capannoni abbandonati da oltre 20 anni, noi abbiamo trascorso la fase più importante della nostra vita. Abbiamo iniziato con entusiasmo e speranza, abbiamo concluso con delusione e rammarico". Eppure la rinascita ora è a a portata di mano. Le donne della Lebole apprezzano l’operazione dell’imprenditore "perchè ne cogliamo l’essenza, conosciamo la sua sensibilità per la città, come dimostrano le altre acquisizione che ha fatto salvando luoghi simboli che altrimenti sarebbero scomparsi definitivamente". La rinascita passa anche dalla memoria.