LUCIA BIGOZZI
Cronaca

Dal sogno industriale alla crisi. Piazzale vuoto per venti anni

Prima il marchio storico aretino, poi Eni e Marzotto: l’addio delle Leboline nel 2001. La grande paura dei negozi, la calata del gigante pistoiese, i piani mai nati: ora la scossa. .

Il complesso dell’ex area Lebole, ormai dismesso

Il complesso dell’ex area Lebole, ormai dismesso

Quell’onda di grembiulini azzurri che colorava e invadeva il piazzale della Lebole è una delle immagini iconiche della recente storia aretina. Raccontata e spillata nel tempo, un angolo di mondo, lì, all’incrocio tra una città che dalle radici agricole era riuscita a diventare un polo industriale e l’Arezzo che per strada aveva perso alcuni dei suoi pezzi più pregiati. Con l’orologio le cui lancette si fermano nel 2001: il baco del millennio? Piuttosto il tarlo che prima svuota la città e poi lavora per ricostruirla. Il piazzale, quello spazio per troppi anni inutilmente vuoto, ne era diventato simbolo e memoria. Una memoria che ora comincia a riarrotolare i suoi fili. Alcuni dei quali pescano nel passato remoto. L’epopea dei Lebole, il loro passo indietro ai segnali di crisi che suonavano più fragorosi delle campane di don Alvaro, la staffetta con l’Eni che subentra con il favore non negato dei sindacati e della sinistra, il passaggio alla Marzotto. Una storia, un po’ gloriosa e un po’ no, che evapora in una mattina del 2001 tra i grembiuli azzurri che sciamano per l’ultima volta dal piazzale. Senza immaginare di aprire una ferita che si sarebbe iniziata a rimarginare (forse) solo 24 anni dopo. Una storia fatta di paure e di accordi economici. La grande paura dei commercianti, l’ipotesi che l’outlet potesse trovare una sua sede definitiva lì, nel piazzale dei grembiuli azzurri.

Un "nemico" contro il quale si era battuta con forza Confcommercio, trovando alla fine un alleato a sorpresa: Mario Carrara, il gigante delle cartiere di Pistoia. Stacca un assegno da circa 27 miliardi di vecchie lire, intorno agli attuali 15 milioni di euro, e l’area Lebole diventa sua. L’inizio di una grande operazione, in realtà i primi soldi di un capitale rimasto bloccato per decenni. E non solo quello, considerando le annuali tasse che nel tempo la proprietà ha dovuto pagare. Mentre i progetti si incrociavano ai progetti. Carte che disegnavano un’Arezzo che non sarebbe mai nata: i tre grandi insediamenti commerciali, inizialmente appesi a Esselunga, Butali e Globo.

Un piano urbanistico che avvia un suo lentissimo iter tra le maglie dell’amministrazione comunale, arrivando a un’adozione negli ultimi mesi della seconda giunta Fanfani. Insieme alle torri, insediamenti abitativi e direzionali, diventati il simbolo di quel progetto, steso da due architetti genovesi, Alfonso e Gianluca Femia, e dallo studio internazionale Peluffo. Il testimone intanto era passato da Mario a Marco Carrara, uno dei due figli dello storico imprenditore pistoiese. È storia di questi anni, fino ai mille segnali di un cantiere che sarebbe dovuto nascere. L’attuale sindaco Alessandro Ghinelli, nell’ereditare quell’adozione, aveva aggiunto una condizione: il raddoppio del raccordo in perequazione nel chilometro dall’ingresso in città all’Hotel Truciolini, e un sottopasso pedonale, forse due, per fare di quell’area anche il parcheggio che il Centro Affari non ha mai avuto. Gli anni del Covid hanno frenato lo sprint, mortificato gli ultimi entusiasmi della famiglia Carrara, intanto nel mirino anche per l’inevitabile degrado dell’area. Ora affidata a Patrizio Bertelli: riuscirà l’uomo in Prada lì dove l’uomo in Lebole si era fermato?