Viareggio, 12 dicembre 2023 – Le lucine natalizie che penzolano dai balconi riscaldano l’atmosfera; ma in strada, la sera, fa un freddo da battere i piedi sull’asfalto. Lo stesso, spesso fradicio d’umidità, dove qualcuno si addormenterà. O, scomparendo sotto una montagna di coperte e cartoni, semplicemente aspetterà che passi un’altra nottata.
Non ce ne accorgiamo, o frettolosamente gli passiamo a fianco con indifferenza. Ma a Viareggio ci sono una cinquantina di persone, per lo più uomini, ma anche donne, che vanno, vengono e vivono in stato di povertà assoluta. Sul crinale che separa l’esistenza dall’alienazione. Il cosiddetto disagio sociale, definizione quasi rassicurante coniata per nascondere la nostra paura dell’abisso, che non sembra ma è lì ad un passo. Non ti accorgi del piano inclinato, e ci scivoli sopra. "Basta una delusione, un fallimento, una depressione, un sfratto... ".
Di almeno una decina dei senzatetto che vivono sotto il cielo della città, i volontari della Misericordia di Viareggio – che ogni lunedì sera attraversano le strade ai margini, portando a chi le abita coperte, qualcosa per scaldare lo stomaco e una parola di conforto – conoscono i nomi e le storie, "perché sono stanziali, e con il tempo siamo riusciti ad abbattere il muro delle diffidenza". Storie che hanno origini diverse, "Ma, quasi sempre – raccontano i volontari – , è la sensazione di solitudine a far perdere anche la speranza, la forza per rialzarsi".
I più “fortunati", come una coppia che vive nei pressi dello stadio dei Pini, hanno una vecchia roulotte in cui ripararsi, e poco importa se la ruggine ha scavato nella carrozzeria solchi che lasciano passare pioggia e vento. "È comunque un tetto, un riparo, un posto che alla fine diventa casa". Altrimenti ci sono i loggiati. Quelli di piazza Cavour, ormai svuotati dai negozi, che al tramonto ospitano giacigli e fagotti; ma anche i portici dei cantieri navali dalla Darsena, dei campi sportivi di periferia, oppure i ponti. Che, da sempre, dividono il mondo sopra da quello setto.
Sotto un viadotto, da settimane, si ripara una donna che vive dentro ad una canadese. "Non chiede mai niente" raccontano i volontari dell’unità di strada. “Grazie mille, ma stasera ho già mangiato. Pensate prima a chi ha davvero bisogno...“ ha risposto, pochi giorni fa, a chi le si è avvicinato con una piccola busta della spesa. Le asperità che ha affrontato non ne hanno scalfito la gentilezza.
Qualcuno, quando l’inverno fa irruzione e il termometro precipita, chiede asilo al dormitorio gestito dalla Caritas. "Ma non tutti accettano questa possibilità". "Chi vive un profondo disagio psicologico, chi pensa di vivere una condizione transitoria, o magari ha problemi con i documenti preferisce rimanere in strada". Anche quando le condizioni sono estreme.
E fra chi e “sceglie“ ogni notte la strada c’è anche un piccolo nucleo di lavoratori stranieri, "che hanno condotto una vita ordinaria, ma è bastata una difficoltà per buttare all’aria tutto". Sono operai che lavorano negli appalti. "Padri arrivati in Italia per provvedere alla famiglia rimasta nel paese di origine. Ma è capitato che lo stipendio non bastasse più per mantenere un affitto e mandare pure i soldi a casa. Arrivati al bivio hanno scelto di provvedere alla famiglia, e si arrangiano a dormire dove capita, cercando i luoghi meno esposti alle intemperie". Incastrati nel mondo di sotto, pur vivendo in quello sopra.