
Il cartello d’addio lasciato sulla panchina dove Maria Rita Morrone dormiva negli ultimi tempi e dove è morta
Viareggio, 17 agosto 2025 – Per la morte di Maria Rita Morrone la Procura di Lucca ha aperto un fascicolo. Due le persone iscritte nel registro degli indagati, entrambe medici dell’ospedale Versilia che hanno preso in cura la donna, che da tempo viveva in strada col marito, in condizioni di salute precarie, note ai servizi sociali e sanitari, alla comunità e alla parrocchia, arrivata per l’ultima volta al pronto soccorso martedì, insieme al marito. E da dove è stata dimessa nella stessa giornata, per essere infine riaccompagnata da alcuni amici a “casa”: una macchina guasta posteggiata nei pressi del parco di piazza Motroni al Campo d’Aviazione. A causa del caldo insopportabile la coppia si era trasferita a dormire su una panchina dei grandi giardini, la stessa dove Maria Rita, all’alba di giovedì, è deceduta.
Per chiarire le cause della morte, ieri il pubblico ministero Antonio Mariotti ha conferito al medico legale, il dottor Luigi Papi, l’incarico di svolgere l’autopsia sul corpo della donna, già programmata per martedì. Disposti inoltre gli accertamenti su tutta la documentazione sanitaria attinente agli accessi di Maria Rita nelle strutture sanitarie. "Si tratta di un atto dovuto e necessario, per fare chiarezza sulle cause del decesso ed eventuali responsabilità" spiega l’avvocato Enrico Carboni, che assiste, come parte lesa, il marito di Maria Rita, Mario, ora ospite in una casa di riposo sulle colline. Lontano chilometri da quella panchina, dove qualcuno ha posato un fiore per ricordare il sorriso, più forte delle avversità, di Maria Rita.
Le ragioni delle indagini
Attraverso gli approfondimenti la Procura potrà chiarire se i protocolli di assistenza siano stati adeguati, se qualcosa di più doveva essere fatto (il Comune ha specificato di aver offerto alla coppia "diverse soluzioni alternative alla permanenza nell’auto"), e se eventuali vari rifiuti da parte della donna a particolari cure potevano essere superati attraverso un trattamento sanitario obbligatorio (in merito la Asl ha affermato che "le sue condizioni sanitarie non erano tali da richiedere degli interventi di tipo ospedaliero, né vi erano presupposti per procedere a Tso"). L’obiettivo della procura è chiarire tutte le ombre che si sono accumulate intorno a questa storia profondamente dolorosa, che ha acceso un faro sul mondo degli “ultimi".
Da insegnante a clochard
Mondo in cui si era ritrovata a sopravvivere anche Maria Rita. Una donna colta, con un passato da insegnante nel suo paese, ad Acri, e finita ai margini della società insieme al marito. Sul crinale scivoloso che delimita la libertà dalla disperazione, l’esistenza dall’alienazione.
Lo sfogo del primario
Una storia di fronte alla quale anche il primario del Pronto Soccorso del “Versilia“, Giuseppe Pepe, ha scelto di rompere il silenzio. Lo ha fatto con un intervento su Linkedin, condiviso da tanti colleghi di reparto.
"Oggi – ha scritto il dottor Pepe – una visita in pronto soccorso per qualsiasi motivo (anche non urgente) garantisce l’assoluzione per tutte le manchevolezze, non solo sanitarie, ai problemi di marginalità sociale e/o questioni di ordine pubblico? Probabilmente sì". "La marginalità sociale e i problemi di ordine pubblico – prosegue il primario – oggi sempre più spesso vengono condotti in Pronto Soccorso? Sembra di sì. I medici del Ps vivono quotidianamente questa esperienza e sempre con maggior disagio. Casi semplicemente condotti in Ps perché “non altrimenti gestibili altrove“".
Rispetto all’inchiesta sulla morte di Maria Rita dice poi Pepe: “Atto dovuto” indagare. Tutto converge nell’unica direzione “più scontata”: il pronto soccorso e l’ultimo medico che l’aveva visitata. Il “mostro” è “l’ultimo” forse unico professionista a prendersi cura di questo essere umano che consapevolmente rifiutava qualsiasi cura". Ma "siete sicuri che tale professionista sia sempre la “bestia nera sacrificabile”? Siete certi che ciascuno ha fatto la sua parte e l’invio in Ps sia la “soluzione” che assolve tutto e tutti? Unico (per ipotesi di reato) “responsabile” professionalmente da convocare in caserma il giorno di Ferragosto é nuovamente “l’ultimo” medico che in Pronto Soccorso in mezzo alla moltitudine di ammalati ha cercato inutilmente di prendersi cura di un altro “ultimo” della comunità… La “soluzione” del Pronto Soccorso in Italia è forse una comodità. O peggio uno scarico per “autoassolversi”?".
Un punto di domanda, che lascia volutamente aperta la riflessione, e che impone a tutti di cercare una risposta. Senza ipocrisia.