
L’evoluzione artistica del padre della satira politica in cartapesta raccontata da Antonella Serafini "I carri sono l’espressione etica di un idealista, i quadri piegano sul pessimismo cosmico".
I carri come l’ottimismo della volontà e i quadri come il pessimismo della ragione. Foscolo per un verso; Leopardi per un altro. Due anime solo apparentemente contrapposte, ma in realtà complementari nella mente e nel pennello di un grande artista viareggino, Silvano Avanzini, un gigante della storia del Carnevale, il padre della satira politica sui carri di cartapesta. A cui, nel Centenario della nascita, viene dedicata una mostra a Lucca, dal titolo "Satira e pittura", curata da Antonella Serafini, che sarà inaugurata sabato.
Una mostra che tratteggia l’evoluzione artistica di Avanzini nel mondo del Carnevale e in quello delle arti figurative, le due forme di linguaggio che conducono Avanzini a un analogo intimo convincimento, "quel pessimismo che emerge ogni volta dalla lucida constatazione dei fatti. Che essi siano la sintesi di un momento politico enunciato nella sferzata di un’allegoria carnevalesca, o di uno stato d’animo rarefatto nelle luci di un interno o di un padule, quello rimane: il desiderio e l’impotenza di una soluzione", come spiega la curatrice della mostra Antonella Serafini.
Il carnevale e la pittura si intrecciano fin dall’inizio nella vita di Silvano Avanzini. Ma sembrano prendere strade diverse. "Per Avanzini, partigiano prima e militante comunista poi, il carnevale – spiega Antonella Serafini – non può essere evasione, smemoratezza, avulso dalla realtà. Le sue convinzioni prima ancora che politiche, etiche, gli impongono di prendere posizione e di utilizzare la platea del carnevale per dire che questo mondo così com’è non va per nulla bene. Come aveva già mostrato con Carnevale al vertice, non teme niente e nessuno, non si tratta di irriverenza la sua, ma di constatazione di fatti. Per questo la censura lo perseguita, lui e altri costruttori, ma non cede". Battagliero e indomito, attacca i potenti. Prende di mira la Dc. Ma critica anche i suoi del Pci soprattutto quando sono sul punto di siglare il Compromesso storico.
"Silvano Avanzini carrista – spiega ancora Antonella Serafini – è stato un lucido certificatore e preconizzatore. La sua satira è stata spesso didascalia. In questi termini possiamo ipotizzare la delusione che si rinnova in lui ogni volta che, all’apparire di un carro che dichiara come stanno le cose, non scoppia la rivoluzione. Per questo non ha difficoltà a distruggerlo, ne ha constatato l’inutilità? Come se conservasse la speranza del riscatto (rifarò un altro carro, glielo spiegherò di nuovo) e la certezza della sua impossibilità".
Diverso invece il linguaggio pittorico di Silvano Avanzini. "Così come nei carri – dice ancora la curatrice della mostra – era spesso capace di preconizzare quanto sarebbe accaduto, le derive della politica e della società, nei dipinti del padule e degli hangar riconosce già quella “natura cadavere” che l’uomo prepara con i suoi comportamenti. La ribellione che Avanzini manifesta nel carnevale con la scelta della satira a oltranza, con la battaglia contro la censura, con il suo deliberato orgoglio di verità, in pittura diventa silenziosa resa a quella stessa realtà che spera con i carri di poter scardinare. Indifferente alla distruzione del carro, poiché il carro è uno strumento di battaglia politica che ogni volta si affina, si modifica, si rinnova, nel quadro invece – aggiunge ancora Antonella Serafini – si ripete nella ta- volozza e nel silenzio. Silenzio perché la natura non ha risposte alle domande esistenziali, silente come la luna leopardiana, immobile. Anche l’hangar è immobile, nessuna eco della frenesia della realizzazione di un carro. Silvano è stato un carrista impegnato anche politicamente e socialmente per il carnevale, ma se dovessimo capire la sua anima dai suoi quadri dobbiamo dire che il suo messaggio era nel silenzio".
Pittore insomma del silenzio e della solitudine esistenziale quando tutto è già stato inutilmente detto. "Il carro e il quadro – conclude Antonella Serafini – due forme d’arte talvolta apparentemente antitetiche e tuttavia nel caso di Avanzini complementari all’espressione del suo sentimento di uomo del suo tempo, un uomo del Novecento che dalle tragiche esperienze della Seconda Guerra mondiale era approdato in una comunità in cui sembrava legittimo pensare di cambiare il mondo. I suoi carri sono l’espressione etica e politica di un idealista che non esita attraverso le sue allegorie a contestare anche coloro che avrebbero dovuto rappresentare i suoi ideali e il suo desiderio di cambiamento della società. Dall’altra i suoi quadri sono il racconto del sentimento di chi deve constatare purtroppo che quella sorta di pessimismo che lo attanaglia non è storico ma cosmico". Foscolo e Leopardi, insomma, in una sola anima.