
Il monumentale ingresso del bagno Balena transennato dopo il crollo
Viareggio, 15 luglio 2025 – È stato forse il forte temporale che nella mattina ha colpito la città, o, forse, la mancata ristrutturazione e messa in sicurezza che, domenica, ha fatto crollare, insieme ai calcinacci, ora circondati dalle “caprette“, un pezzo della storia di Viareggio: uno dei fregi realizzato da Galileo Chini, negli anni venti del ’900, per l’arco che fa ingresso e abbraccia l’insegna dello storico stabilimento balneare “Balena“.
Il corredo, simbolo dello stile Liberty viareggino, è crollato sul marciapiede, con il rischio, scampato per fortuna, di colpire passeggiatori e turisti e, con l’arrivo dei vigili del fuoco e di una pattuglia della Polizia Municipale accorsa per constatare eventuali danni e salvaguardare l’area, è stato prontamente circondato da trasenne, e lo sarà fino a che non sarà dichiarata la messa in sicurezza dell’edificio. Le transenne, appunto, abbracciano ora non soltanto l’ingresso dello stabilimento, ma anche l’area antistante la facciata. Impedendo dunque l’ingresso, se non passando dal retro, sia verso la spiaggia sia per la Focacceria Balena della famiglia Matteoni, proprietaria dell’immobile, e che riaprirà giovedì proprio per l’impedimento. In attesa che, con i permessi della Soprintendenza, i lavori di ristrutturazione e di restauro, la facciata, e l’edificio stesso, prendano nuova vita.
Erano gli anni della scoperta delle possibilità curative dell’aria e dei bagni di mare. Gli anni in cui le spiagge, abbracciando il proprio potenziale, per favorirlo, si attrezzarono di ombrelloni e cabine. Gli anni in cui, quelle stesse spiagge e gli stabilimenti balneari nati su di esse, costruendosi un nome, divennero meta non soltanto di viareggini, ma di avventori da tutta Italia. Così Viareggio s’inventò il turismo balneare. E proprio in quegli anni, tra gli stabilimenti più rinomati della zona, spiccava, con l’insegna posata sull’arco che ancora oggi lo contraddistingue, il bagno Balena. Una costruzione di notevoli dimensioni, nata in legno, come per lo più gran parte degli edifici dell’epoca, ristrutturata in muratura negli anni Venti, dopo l’incendio che nel 1917 colpì la passeggiata di Viareggio, divenendo nel tempo uno dei simboli, storici, dell’architettura liberty della città.
Era infatti il 1928 quando l’architetto Alfredo Belluomini, tra i principali artefici della ricostruzione del lungomare, iniziò la realizzazione del nuovo ingresso dello stabilimento, acquistato, solo qualche anno dopo, dalla famiglia Matteoni, che è tuttora proprietaria dell’edificio e della struttura che comprende l’arco e la “Focacceria Balena“. Un edificio a due piani, affacciato da una parte su viale Regina Margherita, e dall’altra, con due corpi laterali verso l’arenile e una decorazione, affidata a Galielo Chini, pittore e ceramista tra i protagonisti dello stile liberty, con rosoni di vetro colorati, opere geometriche, fregi e tondi ceramici. Ed è stato proprio uno di questi, dopo anni di grida di denunce, da parte di associazioni e cittadini per una scarsa manutenzione e messa in sicurezza, che, domenica mattina, complice forse anche il forte temporale che ha colpito la città, è caduto giù dalla facciata. Crollando, veloce e pesante come la pioggia che ha battuto le strade e la passeggiata della città, sul marciapiede sottostante. Con il rischio, scampato, di colpire passanti e turisti.
Ma con la perdita, invece certa, per la città, di un pezzo culturale e artistico che, di essa, ne ha scritto la storia. E che rimane circondata, ora, da “caprette“ e transenne, in attesa di una ristrutturazione e di un restauro, richiesto da anni e a gran voce, ancora prima di quest’ultimo incidente. «Oltre che del simbolo del liberty viareggino si parla anche di una questione di sicurezza per le persone – denuncia il vicepresidente di Italia Nostra, Claudio Grandi –. Sono anni che chiediamo un intervento, prima di tutto al proprietario, ma vista l’assenza, lo abbiamo chiesto anche all’amministrazione, che può, con le leggi esistenti, o facendo diffida o presentando il conto, sostituirsi al privato. Ma tutte le richieste sono state evase e non abbiamo avuto risposte. E purtroppo quello che paventavamo è successo: è venuto giù un pezzo del Chini, e presto cascherà giù tutto».
È un’assenza di ascolto, quella denunciata dai rappresentanti dell’associazione, in una città, in cui, sempre secondo Italia Nostra, nelle parole del vicepresidente Andrea Lami, «non c’è una visione globale. Dove si fanno lavori, se non dannosi, superflui, perché a certe cose si dà priorità, e ad altre no».
Perché quei lavori, tanto denunciati e agognati, e spettanti, anche dopo la caduta dell’elemento firmato da Chini, alla famiglia Matteoni, nonostante le domande e le richieste di permesso, non sono mai andati in porto. «Sarebbe molto semplice in realtà, ma per avere i permessi per le Belle Arti (che tutelano l’edificio) è tutto complicato, con le vie burocratiche sempre più lunghe e infinite» spiega uno degli eredi dei Matteoni, titolare della Focacceria Balena, per il momento chiusa fino a giovedì per impedimento all’ingresso, a causa delle transenne che abbracciano non soltanto la facciata ma anche la parte antistante, che renderebbero possibile il passaggio solo dal retro.
«L’impresa per la messa in sicurezza è già arrivata, e – prosegue – speriamo che la Soprintendenza, soprattutto dopo quest’evento, velocizzi l’iter per i permessi. L’importante, per adesso, è che non si sia fatto male nessuno». Ma se lo sfregio, che per fortuna non ha coinvolto nessun passante, è sicuramente stato fatto a un monumento che, insieme, tra gli altri, al Caffè Margherita rappresenta una delle ricchezze architettoniche che rimane ancora alla città. E che, forse, con le giuste attenzioni, quelle che si dovrebbero, soprattutto quando si custodiscono tesori di tal genere, si sarebbe potuto evitare.
«Ci vorrebbe una maggiore attenzione ai nostri monumenti, anche da parte delle autorità comunali – afferma infine Antonio Dalle Mura, presidente di Italia Nostra –. È un grande smacco per la città, che non viene ascoltata e su cui si interviene solo quando le cose già succedono. Una volta fu chiesto che venisse vincolata tutta la Passeggiata e la Soprintendenza voleva, ma il Comune si oppose. Se fosse stata vincolata, forse questo non sarebbe successo. Ed è una perdita culturale e identitaria profonda». «E se andiamo avanti con le caprette, che succederà? – conclude Claudio Grandi –. La sostanza sta tutta qui. Altrimenti si continuerà a vivere nell’indifferenza».