
Dario Tomassini, 38 anni, è uno dei telecronisti Rai che ha seguito il Tour
"Venire qui a raccontare il Tour de France è stato un sogno, un sogno colorato di ’giallo’". Dario Tomassini, 38 anni, è uno dei telecronisti Rai che per tre settimane ha narrato la corsa ciclistica a tappe più bella e importante del mondo. Folignate doc, un passato al Tg5 e a La7, ora è uno dei volti della Tgr Umbria. Ma il grande pubblico in questi giorni lo ha conosciuto per le interviste ai grandi campioni o per le storie raccolte lungo le strade della Grande Boucle. Quando lo raggiungiamo al telefono per farci raccontare le sue sensazioni e qualche retroscena, ha la voce un po’ stanca: oltre venti giorni dentro quello che lui stesso definisce come "un gorgo che ti risucchia" non sono semplici da affrontare. Poi però torna subito l’entusiasmo "Quest’anno ho avuto la fortuna prima di raccontare il Giro d’Italia e adesso il Tour: due corse che non sono paragonabili per motivi diversi".
Ad esempio?
"La macchina organizzativa qui è impressionante, maniacale: dai super controlli con cani e metal detector, fino al modo in cui devi parcheggiare la macchina. Per non dire di giornali, tv e radio al seguito: una cosa mai vista. Per raggiungere la postazione Rai a volte devo camminare un chilometro. C’è poi ad esempio una squadra di persone che cancella o modifica le scritte sull’asfalto. Insomma, un’esperienza totalizzante che inizia al mattino e si conclude la sera, senza che tu possa avere il tempo di fare altro".
Un esame anche per un cronista ormai esperto come te...
"Beh all’inizio ti tremano un po’ le gambe, poi come tutte le cose prendi il via e alla fine poi ti butti. Perché se non ti butti non porti a casa niente…".
Come il tuffo in diretta tv che hai fatto giovedì in mezzo ai tifosi?
"Esatto. Non c’era nulla di programmato. Ma fa parte del ‘gioco’, del racconto di come la gente vive la corsa".
Ecco, il tifo al Tour è un’altra cosa da raccontare vero?
"Per i francesi è l’evento sportivo più importante dell’anno, non c’è paragone con nient’altro. Si vede da quanta gente si trova lungo la corsa e non solo nelle tappe di montagna. Ogni paese, ogni città, ogni quartiere dove passa la corsa si riempie di gente, di colori, di piccoli eventi che dimostrano un attaccamento incredibile. Spettacolare"
Beh, poi per te che sei anche un grande appassionato di ciclismo, è stato uno spettacolo nello spettacolo..
"In effetti sì, ho una grande passione per le due ruote. Ho sia la mountain bike, che la bici da strada e la gravel. Prima quando uscivo mi facevo anche 5 ore di pedalata. Ora pedalo per un paio d’ore: ho un figlio e il lavoro che mi impegna".
Qual è stata la tua giornata tipo da cronista?
"Al mattino c’è la ‘battaglia’ con i colleghi per intervistare corridori o direttori sportivi sulla linea di partenza. Poi se si riesce a partire prima del gruppo si fa la strada della tappa, altrimenti il fuori corsa. Ma sempre con tempi strettissimi, senza pranzo, facendo a gomitate con i colleghi. All’arrivo lo stesso: per strappare una battuta a chi ha vinto la corsa o a Pogacar piuttosto che a Vingegaard bisogna sgomitare di brutto".
E le emozioni più grandi di questi giorni?
"Le tappe sui Pirenei, la vittoria di Pogacar a Hautacam e poi quella di Jonathan Milan a Valence: con lui c’eravamo parlati ed è stato magnifico nonostante abbiano provato a tagliarlo fuori. Grande trepidazione anche sul Ventoux, uno scenario impressionante. E infine l’amore per Marco Pantani da parte dei tifosi di tutte le nazioni: la sua è davvero una figura che ha lasciato un segno indelibile".
Michele Nucci