
L’indagine è stata condotta dall’Agenzia delle Dogane di Perugia
La “China“ del lusso: smantellata rete di commercio nazionale dedita alla commercializzazione “in nero“ di abiti e scarpe di grandi firme. Tutto era partito nel 2023 dall’Umbria, dal controllo in un’azienda di Città di Castello che aveva ha fatto emergere i primi sospetti su quello che si è poi rivelato un presunto sistema di frode sparso in mezza Italia attorno ai marchi dell’abbigliamento e delle calzature di lusso. Ora diciotto persone, tutte di origine cinese, sono state denunciate, circa 11 milioni di euro l’Iva evasa su 52 milioni di giro di affari. Le sanzioni emesse vanno da un minimo di 13 milioni a oltre 30 milioni di euro. L’operazione è denominata “China Lux“ ed è stata svolta dal Reparto antifrode dell’Ufficio delle Dogane di Perugia. L’attività di investigazione inizia un paio d’anni fa quando gli ispettori avevano controllato una ditta individuale tifernate, in capo alla quale erano risultate gravi inadempienze fiscali e tributarie oltre che ingenti acquisti nazionali effettuati dal titolare vantando lo status di “esportatore abituale“. Da quel primo controllo l’indagine si è allargata e ha consentito di risalire a ulteriori 18 attività commerciali, tutte detenute da uomini e donne di origine cinese, situate tra Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e Toscana. Solo in Lombardia sono state individuate quattro attività che vendevano abbigliamento delle più note firme, intestate a cinesi risultati nullatenenti o evasori totali. Le imprese, in base a quanto accertato, sarebbe state solo di facciata, senza alcuna reale struttura aziendale né commerciale che potesse giustificare la movimentazione degli ingenti quantitativi di merce, ai quali i funzionari delle Dogane sono riusciti a risalire. La frode sarebbe avvenuta aggirando le normative in tema di imposte e tributi: le ditte, approfittando delle agevolazioni per gli “esportatori abituali“, si sarebbero presentati nell’illegittima veste di fornitori, spesso nelle stesse boutique ufficiali delle più importanti case di moda. Qui consegnavano la “dichiarazione d’intento“ con cui potevano esercitare il diritto a effettuare l’acquisto senza Iva, imposta che, secondo l’accusa, non sarebbe stata versata all’Erario al momento della rivendita della merce, come i vari adempimenti tributari e fiscali. L’analisi dei rischi e le risultanze delle banche dati di Adm, incrociate con le verifiche sui conti correnti, hanno fatto emergere che le ingenti somme di denaro riscosse dalla vendita dei beni di lusso venivano trasferite in Cina come fittizie operazioni commerciali. L’indagine si riferisce al triennio compreso tra il 2020 e il 2023 e tutti agivano sul territorio nazionale con le stesse modalità di frode riscontrate per l’operatore cinese residente in Umbria. I titolari delle ditte individuali sono stati denunciati per i reati di omessa dichiarazione Iva, omesso versamento delle imposte e occultamento di scritture contabili. La conclusione dell’attività dei funzionari delle Dogane è stata già inoltrata all’Agenzia delle Entrate per il recupero delle somme e gli ulteriori interventi di competenza.