TORRE DEL LAGO (Lucca)
Vittorio Grigolo sarà di nuovo Rodolfo ne
La Bohème di questa sera, sabato 26.
Accanto a lui, Mimì è il soprano georgiano Nino Machaidze, Vittorio Prato è Marcello, Ilina Mihailova veste i panni di Musetta.
Chi è Rodolfo secondo Grigolo?
"Rodolfo non ha ancora capito chi sia o cosa stia cercando in verità. Vive alla giornata senza dare troppo peso a un futuro ancora tutto da scrivere o forse già scritto… Riuscire a vivere il presente è per Rodolfo il vero successo alla fine. Quando si ha un’anima milionaria, abbiamo già detto tutto, no?".
Questo ruolo conta nella sua carriera?
"Un ruolo non conta, ma pesa in termini di vissuto. Se si riesce a mantenere un ruolo per un lungo periodo nel proprio repertorio, allora questo assorbe la quotidianità e con essa le esperienze di vita che vi vengono riversate e portate sul palco. Quindi un ruolo è sempre in continuo cambiamento come la vita stessa e ne è testimone".
Come ci si sente a Torre del Lago, a casa di Puccini?
"Ho imparato da poco a conoscere questi luoghi, esplorando la bellezza e la purezza incontaminata di alcuni angoli di paradiso. Ora capisco perché Puccini lo scelse per scrivere le sue opere. Sicuramente tornerò e spero di poter essere presente quasi ad ogni stagione. Devo ringraziare questa nuova vibrante gestio- ne che si adopera concretamente nell’intento di rendere il Festival importantissimo non solo in Italia ma a livello internazionale".
Nelle sue numerose incursioni nel campo della musica ‘leggera’, qual è quella che ricorda più volentieri?
"Sono sempre state molto di più di una semplice toccata e fuga. Ho sempre pensato che la musica sia uno spazio dove ci si possa riparare e sentirsi a proprio agio senza alcuna barriera: intendo tutta la musica. In fondo ogni esperienza è stata importante e ha accresciuto l’artista e l’uomo che sono oggi. Una delle più incredibili? Quella di esibirsi con i Queen e Brian May al mio fianco durante un concerto in Bohemian Rhapsody…".
Il canto è un’esperienza che l’accompagna fin da piccolissimo. C’è un episodio che le è rimasto particolarmente impresso?
"Ogni episodio ha solcato la mia pelle e rigato il disco rigido del mio cuore, ognuno di essi è e rimane importante. Forse il mio inizio, dopo avere cantato l’Ave Maria di Schubert dentro un negozio di ottica a Roma nel quale entrai per caso, ma sappiamo che per caso non esiste praticamente nulla. Quel desiderio mi ha aperto un nuovo mondo che ho esplorato in un ambiente privilegiato, quello del Coro della Cappella musicale pontificia".
Quanto pesa essere, come il suo mentore Pavarotti, ‘ambasciatore di italianità’?
"Sono ovviamente super felice di portare la cultura operistica italiana nel mondo e di esserne ambasciatore ancor più dopo la consacrazione del canto lirico a patrimonio Unesco. Quando si raccoglie il testimone non si pensa più agli ostacoli, ma al traguardo. Guardare avanti e non fermarsi mai!".
C.C.