
Parla il responsabile della gestione agronomica dell’azienda Corticella nel Modenese, Gruppo Inalca-Cremonini: "Cerchiamo e studiamo nuovi sistemi di coltivazione adatti ai cambiamenti climatici" .
Un percorso di mitigazione e adattamento agronomico/zootecnico. È quello intrapreso dall’Azienda agricola Corticella, società di riferimento del polo agricolo di Inalca con sede a Castelvetro di Modena. Una realtà che spicca per le proprie dimensioni: Corticella controlla infatti in Italia dieci aziende agricole, distribuite fra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, per una superficie di oltre 2.300 ettari: terreni dove viene autoprodotta una percentuale importante – circa il 70% - degli alimenti destinati ai bovini. Grazie a questi numeri, Inalca risulta tra i più grandi allevatori italiani di bovini da carne in Italia (vitelli, vitelloni e scottone), con la capacità produttiva, in termini di capi allevati direttamente o in soccida, di circa 180mila bovini all’anno.
Ne abbiamo parlato con Claudio Pennucci, responsabile gestione agronomica dell’Azienda agricola Corticella.
Quali sono le vostre strategie?
"Adattare nuovi sistemi di coltivazione per l’alimentazione animale ai cambiamenti climatici.
La monocoltura ha reso l’agricoltura vulnerabile ai parassiti e poco adattabile nei confronti del cambiamento climatico. Oggi diventa evidente la necessità di esplorare nuove tecniche agronomiche, ma soprattutto nuovi sistemi colturali caratterizzati da piante più resilienti, che pur coltivate in specifiche aree del mondo, hanno le potenzialità di adattarsi e produrre in altri ambienti".
Quali schemi seguirete?
"I nuovi schemi di coltivazione non riguarderanno solo le coltivazioni, ma anche le pratiche agronomiche. Cercheremo di progettare, schemi colturali che non solo esaltino la produttività, ma migliorino anche la struttura fisico-chimica del suolo".
Cosa farete nei prossimi anni?
"Nei prossimi tre anni, il gruppo Inalca imposterà nei propri centri agro-zootecnici, gestiti dalla società Corticella, una sperimentazione applicativa, che si focalizzi su tre punti. Il primo riguarda la creazione di nuovi sistemi colturali: verranno testati schemi di coltivazione che meglio si adattino alle condizioni pedo-climatiche e di mercato, andando a utilizzare sia coltivazioni consolidate che nuove. Il secondo punto è relativo alla gestione del suolo: avere tutte le informazioni meteoriche e fisico-chimiche permetterà di applicare lavorazioni meno impattanti e più ecosostenibili. Infine, su ogni coltivazione verrà iniziato un percorso in cui sviluppare linee tecniche per razionalizzare l’utilizzo degli input agronomici e verranno adottate pratiche specifiche. Questo esperimento è coerente con le altre attività sviluppate dall’azienda per il recupero e la valorizzazione di sostanze organiche per la fertilizzazione dei suoli ottenute con processi di economia circolare, come ad esempio i “digestati” provenienti dagli impianti di produzione biogas del Gruppo.
Quali sono oggi i modelli di allevamento più diffusi?
"Negli ultimi cinquant’anni, anche in Italia, si sono imposti gli allevamenti in stalla, dove il controllo puntuale della razione alimentare combinato con il miglioramento genetico e il management gestionale, hanno incrementato le performance produttive e diminuito gli impatti ambientali. Così le filiere di prodotto e gli allevamenti si sono fortemente specializzati e concentrati in aree vocate alla produzione di cereali , con un’agricoltura più efficiente, per la produzione di foraggi (mais principalmente). A fronte dei cambiamenti climatici, questo modello ha bisogno di significative revisioni, per essere ancor più sostenibile".
Come sta cambiando il contesto?
"Negli ultimi 50 anni, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è aumentata del 32%, passando da 280 a 370 ppm. Questo ha effetto sulle piante, agendo direttamente sulla fotosintesi clorofilliana. Maggiori concentrazioni di CO2 dovrebbero favorire la produttività delle piante, ma non è sempre così. La più frequente alternanza delle precipitazioni e un’escursione termica più elevata infatti impattano in modo negativo sulle produzioni foraggere. Servono dunque nuove strategie e a queste domande Inalca sta cercando di dare delle risposte".
Giorgio Peruzzi