
Sono in pochi a fare il lavoro alla vecchia maniera con mandrie e puledri. La difficile ricerca di giovani appassionati per un’attività antica e difficile.
I butteri sono figure ’mitologiche’ per le nostre campagne. Un lavoro duro, quello di spostare le mandrie di vacche maremmane tra i boschi e i pascoli a sud di Alberese. Una competenza, quella nella gestione del branco e una capacità di cavalcare, rigorosamente cavalli maremmani, che si acquisisce col tempo. E che il tempo insieme alla tecnologia sta progressivamente facendo sparire. Ma qualcuno resiste. Stefano Pavin è il capo buttero della tenuta di Alberese dell’Ente Terre Regionali Toscane, un simbolo per i pochi che ancora ogni giorno montano in sella e mettono in pratica gli antichi insegnamenti.
Quando ha deciso che questo era il lavoro per lei?
"Avevo 16 anni. Il massaro (il responsabile della gestione del bestiame che ha alle sue dipendenze i butteri ndr) mi disse che portato per fare questo lavoro. Ci ho messo passione, non sono mai sceso dalla sella. Ad Alberese siamo in quattro a fare il lavoro alla vecchia maniera. Io sto andando in pensione, la speranza è di poter trovare un nuovo buttero, anche se non è facile. Questo è un mestiere che devi sentire, per farlo bene e provare a trasmetterlo a qualche giovane; siamo rimasti in pochi, ed è difficile trovare ragazzi disposti a seguire le nostre orme. Sarebbe doloroso se i butteri scomparissero, sarebbe la fine di un’arte dell’allevamento".
Come si svolge il lavoro?
"Ogni stagione ha le sue specifiche. E’ un lavoro impegnativo, si va ‘in ufficio’ anche quando c’è il fango per la gran pioggia, o quando fa freddo o tira vento. Saliamo in sella, e ci prendiamo cura degli animali. Da gennaio ad aprile tutti i giorni sono a cavallo, poi c’è la doma dei puledri, perché in azienda non c’è solo l’allevamento delle vacche maremmane, ma anche i cavalli nascono e vengono educati alla monta. E’ una tradizione antica; che è ben più profonda delle leggende metropolitane sul buttero. Qui ad Alberese accogliamo anche turisti che vogliano fare esperienza insieme a noi. Si rendono conto di quanto sia difficile accompagnare la mandria al pascolo e di come sia faticosa la gestione quotidiana degli animali dei quali è obbligatorio prendersi cura".
Qual è la responsabilità di un capo buttero?
"Tengo nota di tutto quello che succede in azienda: gli spostamenti dei capi, i pascoli, le nascite, le morti. Ma anche gli spostamenti e le vendite. Decido gli spostamenti e i lavori da fare: dalla doma alla manutenzione delle staccionate e dei recinti anti lupo. Sul lavoro ormai sono poche le aziende che hanno butteri in modalità tradizionale. E’ un’arte antica; i gesti, le mosse, i richiami, come spingiamo le vacche più ‘difficili’ a seguire il branco, sono eseguiti nel rispetto della storia di questa professione. Ma quando si alza la polvere nel cammino, siamo sempre in grado di governare la situazione".
Vi dà fastidio essere paragonati ai cowboy americani?
"Cowboy, gaucho, gardian, buttero, sono facce della stessa medaglia, anche se vengono da tradizioni diverse. Ognuna di queste figure ha la sua ’mistica’, il suo modo di fare le cose. Ci sono state occasioni di confronto, esibizioni nelle quali ci siamo incontrati".
Tante le differenze, anche se l’eleganza del buttero, le movenze del cavallo maremmano nella gestione delle mandrie, è entrata nella leggenda.
Fabrizio Morviducci