
Un’immagine dell’ingresso del pronto soccorso del policlinico (foto d’archivio)
Siena, 23 luglio 2025 – “Me lo disse subito il chirurgo, quando uscì dalla sala operatoria: ’Questo è stato un tentato omicidio’”. E’ passato poco più di un anno da quella sera terribile in cui il figlio finì in rianimazione alle Scotte ma la ferita, per sua madre, è ancora fresca. Anzi, se possibile, più dolorosa. “Io e mio marito sappiamo quanto ha sofferto e tuttora soffre. Vorrei la verità su quello che è accaduto. La procura ha archiviato per cui lanciamo un appello a chi, fra il 29 e il 30 giugno 2024, si trovava in Camollia: se ha visto qualcosa si metta una mano sulla coscienza rivolgendosi alle forze dell’ordine oppure direttamente ai nostri avvocati, Alessandro Betti e Paolo Ridolfi”.
C’è stata un’indagine della polizia, coordinata dalla procura, su quella che, a caldo, venne definita una rissa con accoltellamento, così riportava anche il nostro quotidiano. Ad essere ferito un trentenne senese. Lui, unitamente ad altre 4 persone, era stato poi indagato per tale reato. E uno di loro invece per il tentato omicidio del giovane. La procura aveva chiesto l’archiviazione per tutti e per entrambe le accuse, accolta dal gip Sonia Caravelli a fine marzo scorso. Il giudice ha ritenuto “pienamente condivisibili le ragioni addotte nella richiesta di archiviazione... e che dunque non possa essere formulata una ragionevole prognosi di condanna”. “Delle aggressioni fisiche si vedono grazie alle telecamere però fra due persone e non tre per cui non si configura la rissa. Non è inoltre stato individuato il momento in cui viene ferito il mio assistito. E dunque l’autore materiale dell’accoltellamento”, osserva l’avvocato Betti ieri in redazione a La Nazione insieme ai genitori del 30enne. “Un fendente che è stato sferrato dal basso verso l’alto con una leggera rotazione. Si voleva fare male, insomma”, sottolinea il legale. E anche il pm, nell’ipotesi iniziale, parlava di “atti idonei, diretti in modo non equivoco, a cagionare la morte (del ragazzo, ndr) attingendolo al basso ventre”.
Signora, il vostro appello arriva al termine di un anno di calvario.
“Nostro figlio ha subito quella notte stessa un intervento d’urgenza. Al pronto soccorso l’abbiamo portato io e suo padre dopo esserci recati in Camollia. La ferita aveva provocato una peritonite, hanno dovuto inserire una strumentazione per evitare un’infezione molto seria, aveva la febbre a 40. Poi gli venne tolta. Ha avuto decine e decine di punti di sutura nella parete addominale per l’intervento. Ed è rimasto tre settimane in rianimazione, in prognosi riservata. Quindi sette giorni in reparto. Il 28 luglio scorso è stato dimesso”.
Una situazione molto delicata, infatti gli investigatori l’hanno ascoltato solo dopo molto tempo.
“Hanno atteso che si rimettesse, almeno parzialmente. E’ stato sentito a fine settembre”.
Come ha trascorso questi mesi suo figlio?
“Ha avuto difficoltà di ordine fisico: problemi a digerire, mangia poco, non riesce a mandare giù il cibo per cui si alimenta, per così dire, a tappe durante la giornata. Ha problemi a stare a letto anche perché, a seguito dell’operazione, si è formato un grosso laparocele (un’ernia che si crea su una cicatrice chirurgica, tipicamente dopo un intervento addominale, ndr)”.
Una sporgenza che l’avvocato Betti ha definito simile alla testa di ’Alien’ nell’omonimo film, quando preme sulla pancia della persona in cui si è infilato.
“Si vergogna ad uscire, frequenta solo ambienti dove si sente a proprio agio. Quanto accaduto ha avuto pesanti ricadute sulla sua vita personale nell’immediato e anche adesso. Quanto al laparocele, è in lista di attesa per l’operazione, avendo effettuato già la pre-ospedalizzazione. Speriamo che sia risolutivo, il nostro timore è che in futuro possa continuare ad avere disturbi fisici”.
Alla luce di tale situazione l’appello che lanciate oggi attraverso La Nazione.
“Non riesco a farmi una ragione del fatto che, mentre mio figlio ha dovuto affrontare, e lo fa anche adesso, tanti problemi, l’autore dell’accoltellamento, chiunque esso sia, può fare la propria vita. Chi trova il coraggio di affondare il coltello nel corpo di un’altra persona potrebbe anche rifarlo. Per questo chiediamo, visto che quella sera in Camollia c’erano tantissime persone nel rione, se qualcuno ha visto si metta la mano sulla coscienza e lo racconti alle forze dell’ordine. Quando intervenni quel giorno (è il padre a parlare, ndr) ricordo fuori porta Camollia una voce di donna che parlava ’ma i coltelli!?’. Non so dire chi fosse ma se qualcuno ha visto o sentito dire si faccia avanti. E’ il nostro ’grido’ di aiuto, non accusiamo nessuno”.