Roma, 23 luglio 2025 – Dacia Maraini, la lettera in cui Laura Santi, proprio mentre sceglie di morire, chiede di essere ricordata come una donna che ha amato la vita, è il luminoso ossimoro su cui ruota la questione del suicidio assistito.
“Leggendo quelle parole commoventi mi è venuto in mente Socrate. Negli ultimi istanti è lui a confortare i suoi discepoli pregandoli di essere sereni. Chi pratica la filosofia, dice, in fondo non ha altra occupazione se non quella di prepararsi a morire. La vita è un lungo tirocinio in vista del grande nulla. In Laura Santi ho sentito la stessa lucidità, la stessa fierezza, lo stesso coraggio. Solo amando profondamente la vita si può decidere di non accontentarsi di niente di meno. Perché la sua non era più vita”.

Mentre combatteva la sua battaglia, Laura ricordava che a volte il destino ci viene addosso come un tir. Precisava che l’urto può essere la malattia, un lutto, una catastrofe economica. Di qui la necessità di imparare a giocarci a boxe, come ha fatto lei.
“E la capisco. Pur amandola moltissimo, la vita può costringerti a prenderla a pugni. Fino ad arrivare a dire basta. Non esiste una gerarchia del dolore. Ci sono infinite situazioni di sofferenza talmente intensa che impediscono di continuare. Penso alla rinuncia al movimento, al rapporto con gli altri, alla dignità. Soprattutto al male fisico, idea che personalmente mi terrorizza molto più della morte. Non a caso le ultime parole di quella donna sono state: non potete capire che senso di libertà”.
E tuttavia in Italia il suicidio assistito resta formalmente un reato, che la Corte costituzionale dichiara non punibile solo in casi eccezionali. Non un diritto. Tanto meno un servizio sanitario obbligatorio.
“E Laura, sul confine, si permette di obiettare. Ricorda lo sproloquio ininterrotto sul fine vita, parole sue, l’ingerenza cronica del Vaticano, l’incompetenza della politica. E quel disegno di legge che incombe come un colpo di mano. Il suo caso diventa politico ma è prima di tutto ferita della carne, atroce esperienza personale. Nessuno Stato può imporre ai suoi cittadini di essere eroi. Nemmeno quello italiano al traino della religione cattolica, che ha sempre condannato il suicidio in quanto disobbedienza alla volontà divina. Il Rinascimento prima e poi la Rivoluzione francese hanno trasformato il peccato in diritto ricordando che la religione, per quanto incantevole, non va imposta”.
L’obiezione al suicidio assistito è che esistono le cure palliative e su quelle bisognerebbe investire.
“Chi vuole andarsene non è perché le rifiuta: proprio non ce la fa più. È chiaro che si prova qualunque cosa, ma tutti abbiamo conosciuto situazioni in cui non servono a niente. E poi ci tengo a ricordare che la morte dolce, chiamiamola così, è già praticata giornalmente in tutti gli ospedali. Basta uno sguardo fra il medico, il paziente o i parenti. Negarlo è un’ipocrisia”.
Laura Santi ha voluto essere viva fino all’ultimo secondo.
“Ecco la fierezza di Socrate che prende la ciotola e passeggia per la stanza finchè non si sente le gambe pesanti. Ecco la consapevolezza di fare ciò che è necessario fare, di fronte alla quale chiunque deve arrendersi. Ha scelto lei. Davanti alla morte il suo è un inno alla vita fatta di partecipazione, amore, luce, acqua che scorre. Quello che c’è dopo, per quanto ne sappiamo, è silenzio”.