Perugia, 22 luglio 2025 – Una storia d’amore, di determinazione e di lotta civile. Laura Santi è morta a casa sua, accanto al marito Stefano, dopo essersi auto-somministrata un farmaco letale. Aveva 50 anni ed era affetta da una forma avanzata e progressiva di sclerosi multipla.
“Non voglio morire oggi e nemmeno domani. Anzi, se la mia malattia restasse così, ve lo dico, io resterei qui. Amo la vita, ho un marito meraviglioso”, scriveva. Ma conosceva bene il futuro che l’aspettava. Dopo 25 anni di malattia, era completamente tetraplegica, dipendente in tutto e per tutto dall’assistenza. “Vorrei, un giorno, poter dire basta. Vado via. Aiutatemi a morire”, spiegava con lucidità, mentre chiedeva di poter scegliere, come previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, quando e come porre fine alla sua sofferenza.

Giornalista e blogger, Laura aveva raccontato la sua condizione con uno stile diretto e poetico nel diario ‘La vita possibile’. I primi sintomi della sclerosi multipla arrivarono a 25 anni, quando correva, nuotava, viaggiava. A 29 incontrò Stefano, il suo compagno di vita. Gli disse subito: “C’è anche la malattia nella mia vita. E peggiorerà”. Lui rimase accanto a lei. E lo ha fatto fino all’ultimo secondo.
Non l’ha mai lasciata sola, neanche nei momenti più duri, come nel 2016, quando in soli dieci mesi Laura perse la possibilità di stare in piedi e finì definitivamente in carrozzina.
“Oggi mi spostano prendendomi in braccio, devo essere imboccata. Ma quando riesco a girarmi da sola nel letto, mi sento come quando vincevo le gare di nuoto”, raccontava con ironia e amarezza, ma anche con una forza disarmante.
Nel novembre 2022, Laura presentò la richiesta formale alla Asl Umbria 1 per accedere al suicidio medicalmente assistito, previsto nei casi in cui il paziente sia affetto da una patologia irreversibile, soffra in modo insopportabile, sia pienamente capace di prendere decisioni e dipenda da trattamenti di sostegno vitale. Proprio su quest’ultimo punto la sua battaglia si è arenata per quasi due anni: la Asl non le riconosceva il requisito, sostenendo che non fosse sottoposta a sostegno vitale.
Ma Laura non si arrese. Ricorse al tribunale civile, poi denunciò per omissione di atti d’ufficio. Affrontò interrogatori, perizie, risposte ambigue. E mentre i mesi passavano, il suo corpo continuava a cedere. L’associazione Luca Coscioni ha ricordato come, nel corso di tre anni, Laura abbia dovuto presentare due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e un reclamo formale per ottenere il riconoscimento di un diritto stabilito dalla Corte costituzionale. Solo nel novembre 2024 arrivò finalmente la relazione medica che attestava il possesso di tutti i requisiti, compreso il trattamento di sostegno vitale, reinterpretato alla luce delle condizioni complessive del suo stato.
A giugno 2025, l’ultimo passaggio: il collegio medico e il comitato etico approvarono il protocollo farmacologico. Laura ebbe finalmente la certezza di poter morire quando lo avrebbe deciso. “Finalmente”, disse, “sono libera di scegliere come e quando morire”. Nessun medico umbro si dichiarò disponibile ad assisterla. Lo fecero un medico e un’infermiera di un’altra regione, attivati su base volontaria.
Stamani, Laura si è congedata dal mondo. Lo ha fatto a casa, nel rispetto della legge, con accanto l’uomo che l’ha amata per oltre vent’anni. “Io sto per morire. Non potete capire che senso di libertà. Mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato. E vi prego: ricordatemi”, ha detto nelle sue ultime parole.
Ha chiesto solo questo: di essere ricordata. Ma anche ascoltata. La sua storia, oggi, riaccende con forza il dibattito sul diritto a scegliere la propria fine.