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Salute

L’innovativo farmaco che ritarda il diabete di tipo 1. Al Meyer trattato un bambino di 13 anni

Il primo trattamento immunoterapico in Toscana con teplizumab. L’obiettivo è posticipare l’insulino-dipendenza nei giovani a rischio, grazie a una diagnosi precoce e a un approccio personalizzato.

L'esterno dell'ospedale Meyer di Firenze (Foto di repertorio)

L'esterno dell'ospedale Meyer di Firenze (Foto di repertorio)

Firenze, 4 agosto 2025 – Una nuova era nel trattamento del diabete di tipo 1. L’ha avviata il Meyer, tra i primi in Italia, con un paziente di 13 anni al quale è stato somministrato un anticorpo monoclonale che permette di ritardare l’insorgenza della patologia. Il trattamento, approvato dalla direzione sanitaria e autorizzato dal comitato etico, ha visto coinvolto un team multiprofessionale di pediatri diabetologi, pediatri internisti, immunologi, personale infermieristico del reparto e della ricerca e farmacisti. Il paziente è stato sottoposto a infusione endovenosa di teplizumab per 14 giorni ed ha effettuato un monitoraggio clinico quotidiano, anche attraverso esami di laboratorio.

A seguire attentamente il nuovo percorso di cura la dottoressa Sonia Toni, che per quarant’anni ha lavorato presso la Diabetologia del Meyer, e il dottor Lorenzo Lenzi, attuale responsabile facente funzione del centro, che si sono avvicendati con i tutti i medici del team della diabetologia nella sorveglianza del percorso terapeutico.

Non si sono verificate reazioni avverse impreviste, se non una transitoria linfopenia (condizione medica in cui il numero di linfociti nel sangue è inferiore ai valori normali, ndr.) e una eruzione cutanea che si sono risolte senza necessità di trattamento alcuno. Superato il periodo di osservazione, il ragazzino è rientrato a casa.

“Con questo trattamento – evidenzia il presidente della Toscana, Eugenio Giani - si inaugura una nuova era per i bambini che hanno il diabete, in una struttura che conferma ancora una volta tutta la sua eccellenza come il Meyer. Con l’uso di questi anticorpi si ritarda l’insorgenza della malattia e questo vuol dire rinviare la dipendenza da insulina ad un’età in cui si possa essere più consapevoli e capaci di usarla: un progresso reso possibile grazie alla ricerca, su cui è importante sempre investire”.

In cosa consiste il nuovo trattamento?

Dal 2022 l’Agenzia regolatoria americana del farmaco (FDA) ha autorizzato l’impiego di teplizumab per proteggere le cellule beta e rallentare la progressione del diabete di tipo 1. Dalla fine del 2024, in attesa dell’autorizzazione dell’Ema e dell’Aifa (rispettivamente Agenzia europea e italiana) il farmaco è disponibile in Italia per uso compassionevole in pazienti selezionati e agisce riducendo l’aggressività dei linfociti T verso le cellule beta che producono l’insulina, portando così a un ritardo nell’inizio della dipendenza dall’insulina.

Il diabete mellito di tipo 1 inizia mesi, anni, prima della comparsa dei sintomi tipici dell’esordio della malattia. Nel sangue, infatti, si ritrovano anticorpi che sono espressione dell’aggressione autoimmune che l’organismo attua verso le cellule del pancreas che producono insulina (cellule beta). La storia naturale del diabete di tipo 1 riconosce varie tappe o meglio vari stadi che permettono di predirne l’esordio. Uno stadio importante è lo stadio 2 in cui alla positività di almeno due anticorpi si associa la presenza di una alterazione della glicemia (disglicemia), alterazione che però non rientra ancora nei criteri diagnostici.

Ecco, oggi c’è la possibilità di intervenire con un farmaco che agendo sul sistema immunitario rallenta la distruzione delle beta cellule e ritarda così l’esordio clinico del diabete. Nel corso di questi ultimi anni attraverso studi clinici si sta cercando di individuare molecole che, somministrate all’esordio clinico, possono interferire con la progressione del danno e preservare la funzione beta cellulare estremamente importante per mantenere nel tempo un controllo adeguato della glicemia e quindi proteggere il paziente dallo sviluppo delle complicanze.

Lo sforzo è intercettare più precocemente possibile i soggetti che andranno incontro a diabete tipo 1 per preservare una maggiore massa beta cellulare, per prevenire l’esordio in chetoacidosi, per ridurre il più possibile il tempo di iperglicemia che precede la diagnosi, per iniziare eventuali trattamenti immunomodulatori. Le strategie possibili sono quelle dello screening che potrà essere effettuato sulla popolazione generale in determinate fasce di età, come previsto dalla legge 130 del 2023 e lo screening dei soggetti a rischio.

Le categorie di soggetti a maggior rischio per lo sviluppo del diabete sono quelli con malattie autoimmuni (celiachia, tiroidite, artrite idiopatica giovanile, psoriasi, vitiligine) o con familiarità per diabete tipo 1 e per altre malattie autoimmuni e soggetti con iperglicemia occasionale. In questi soggetti la ricerca dei marcatori di danno beta cellulare permette di effettuare una stadiazione (inquadramento clinico). 

Come è stato selezionato il paziente

Alla diabetologia dell’AOU Meyer IRCCS dal 2009 sono seguiti bambini e adolescenti positivi agli anticorpi anti beta cellula, reclutati in quanto soggetti a rischio ed è stato predisposto un database di oltre 100 pazienti con queste caratteristiche. Da questo archivio sono stati individuati i soggetti che rispondevano ai criteri per il trattamento con teplizumab.

Questo trattamento inaugura una nuova era nell’approccio al trattamento del diabete, incentiva e rinforza le motivazioni ad effettuare lo screening sia di popolazione sia dei soggetti a rischio e rappresenta un primo passo verso trattamenti sempre più innovativi, precisi e personalizzati per il benessere a lungo termine dei bambini.

Ritardare anche solo di pochi anni l’insulino-dipendenza e mantenere una seppur ridotta funzionalità beta cellulare residua è fondamentale soprattutto in età pediatrica perché diminuire il tempo di esposizione all’iperglicemia, all’ipoglicemia e alla variabilità glicemica significa ridurre le complicanze croniche, significa migliorare la qualità di vita, significa migliorare le performance fisiche e psicologiche di quel bambino.