REDAZIONE PRATO

Operai schiavi in fabbrica: "Ghettizzati per etnia e nascosti ai colleghi": "Un caso emblematico"

Le motivazioni della sentenza di condanna di Gennaro Iacomino, titolare della GS a Montemurlo. Il procuratore: "Insulti razziali e discriminazioni".

Le motivazioni della sentenza di condanna di Gennaro Iacomino, titolare della GS a Montemurlo. Il procuratore: "Insulti razziali e discriminazioni".

Le motivazioni della sentenza di condanna di Gennaro Iacomino, titolare della GS a Montemurlo. Il procuratore: "Insulti razziali e discriminazioni".

Sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha portato, nel gennaio scorso, alla condanna di Gennaro Iacomino, imprenditore di origini campane e titolare della GS international Business a Montemurlo. I suoi familiari sono stati assolti. Iacomini, invece, fu condannato in primo grado dal tribunale di Prato a due anni di reclusione e alla multa di 500 euro, colpevole, secondo il giudice Santinelli, di aver sfruttato diversi lavoratori stranieri di origine nordafricana. Iacomino ha ricevuto pene accessorie come l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché del divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione. Si è trattato di un caso di sfruttamento simile a quelli che quasi quotidianamente vengono scoperti all’interno delle ditte a gestione cinese. La particolarità è che questa volta a essere condannato è stato un italiano.

L’indagine è nata in seguito alla denuncia di alcuni lavoratori africani impiegati da lacomino in due imprese attive nel redditizio mercato del riciclo di capi di abbigliamento, "settore nel quale, sovente, è stata registrata l’ingerenza e l’influenza di alcuni esponenti di clan camorristici", ha spiegato il procuratore Luca Tescaroli (foto) in una nota. Secondo quanto accertato dalle indagini, gli operai erano impiegati a nero o con contratti di lavoro da 4 ore al giorno anche se, di fatto, ne venivano svolte 9, con brevissime pause per la consumazione di un pasto frugale all’interno degli ambienti deputati alle lavorazioni; le retribuzioni erano pari a 600-700 euro al mese, nettamente inferiori rispetto alla soglia minima legale prevista dal contratto collettivo nazionale e del tutto sproporzionate rispetto all’impegno lavorativo richiesto, nessun diritto a ferie e/o assenze retribuite, con decurtazioni salariali di circa 50 euro per ogni giorno non lavorato. Una retribuzione non sufficiente, scrive il giudice, "a garantire ai prestatori un’esistenza dignitosa, tanto che a volte non avevano neanche da mangiare".

"Da questa vicenda emerge senza dubbio la ’debolezza negoziale’ degli sfruttati – scrive il procuratore –, ben nota all’imputato che non ha esitato ad approfittarsene per trarne un proprio vantaggio economico a discapito delle stesse vittime che, deprivate dei diritti di base, non erano riuscite a emanciparsi e a condurre un’esistenza dignitosa". Il giudice ha addirittura parlato di un "trattamento ghettizzante a matrice etnica", riferendo di una seria parcellizzazione dei lavoratori che avrebbe portato ad un "trattamento di isolamento" posto in essere nei riguardi dei lavoratori africani, posti a debita distanza dalle altre maestranze così da occultare, agli occhi degli altri operai, il trattamento loro riservato.

"Si tratta di un caso emblematico, non solo perché vede - coinvolto un imprenditore italiano, ma anche per le modalità. Le investigazioni hanno evidenziato un sostanziale atteggiamento di discriminazione sul piano etnico, con i lavoratori africani non solo costretti a svolgere le mansioni più faticose ma anche, ripetutamente, oggetto di scherno, insulti razziali e scherzi di cattivo gusto, come quando, lo stesso Iacomino, li ha minacciati mostrando loro una pistola a salve, dando così sfoggio di un atteggiamento “intimidatorio”". La difesa ha già annunciato di aver presentato ricorso in Appello.

"La condanna per il reato di caporalato riportata da Gennaro Iacomino ha lasciato lo stesso e la società tutta profondamente perplessi". A sostenerlo sono i legali (Federico Febbo e Costanza Malerba) di Iacomino. "Il provvedimento – hanno aggiunto i legali – ha ad oggetto una fattispecie che sanziona la condotta di approfittamento dello stato di bisogno degli operai e del loro sfruttamento a mezzo di violenze e vessazioni, elementi a nostro avviso pacificamente assenti nel caso concreto. Ciò che è possibile contestare a Iacomino sono piuttosto alcune irregolarità contrattuali, ammesse fin da subito anche dal medesimo, atteso che parte della retribuzione corrisposta ai dipendenti non era emersa, così come l’orario di lavoro, indicato in misura minore rispetto a quello effettivamente svolto, che però mai superava le 8 ore".

Secondo quanto riferito dai legali (Viola Assirelli e Luca Betti) degli altri familiari del sig. Iacomino, che sono stati tutti assolti, la società Gs International "è una realtà sana e tutti gli operai lavorano nelle migliori condizioni sia igienico sanitarie che relative alle pause dal lavoro ed ai pasti, consumati in apposita mensa". Gli avvocati dell’amministratore delegato riferiscono "di avere già impugnato la sentenza di condanna, anche per scongiurare il pericolo che ad altre società sia contestato un reato così grave a fronte di violazioni che potrebbero e dovrebbero essere affrontate nell’ambito del contenzioso civilistico".

Laura Natoli