REDAZIONE PRATO

Lavoratori sfruttati come schiavi, imprenditore degli abiti usati condannato. Minacce, scherno e insulti razzisti

Prato, il Tribunale: paghe così misere “ da non garantire nemmeno un’esistenza dignitosa”. Turni massacranti, niente ferie e decurtazioni dalla paga per ogni giorni di assenza

L'ingresso del tribunale di Prato in una foto di repertorio

L'ingresso del tribunale di Prato in una foto di repertorio

Prato, 17 giugno 2025 – Due anni di reclusione e 500 euro di multa: è la condanna inflitta in primo grado all’imprenditore Gennaro Iacomino. Per il giudice del Tribunale di Prato è colpevole di aver sfruttato diversi lavoratori nordafricani nelle sue due imprese attive nel redditizio mercato del riciclo degli abiti usati. Assolti invece gli altri imputati, appartenenti al gruppo familiare del condannato.

A Iacomino sono state applicate anche le pene accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle imprese e delle persone giuridiche e il divieto di concludere contratti di appalto, cottimo fiduciario, fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, l’esclusione da finanziamenti, contributi, sussidi e agevolazioni pubbliche relativi all’edilizia per due anni.

L’indagine coordinata dalla Procura di Prato, guidata da Luca Tescaroli, era partita proprio dalla denuncia di alcuni lavoratori stranieri che da qualche anno lavoravano nelle due ditte. Sono dunque partiti gli accertamenti con i carabinieri della tenenza di Montemurlo e il gruppo antisfruttamento dell’Asl, che hanno ricostruito un quadro di grave sfruttamento dei lavoratori: lavoro nero, contratti da 4 ore al giorno anche se in realtà ne venivano lavorate nove, brevissime pause concesse per consumare un pasto (modesto) senza però muoversi dalla ditta, misere retribuzioni mensili da 600-700 euro, cioè molto al di sotto dei minimi legali e soprattutto sproporzionate rispetto alla mole di ore di lavoro. Ovviamente la parola “ferie” non esisteva: anzi, ogni giorno non lavorato portava a una decurtazione dalla paga di 50 euro.

Il tribunale evidenzia come quella paga non fosse sufficiente “a garantire un’esistenza dignitosa, tanto che a volte non avevano nemmeno di che mangiare”. Il tutto in un contesto produttivo che la Procura definisce “degradato e fortemente ammantato da una situazione di insicurezza cronica”.

Le parole usate dal giudice nella sentenza sono particolarmente dure quando definisce il trattamento dei lavoratori “ghettizzante” e “a matrice etnica”, perché i lavoratori africani sarebbero stati tenuti ben separati dagli altri per così da cercare di nascondere il trattamento a loro riservato. Una discriminazione etnica evidenziata anche dal procuratore capo Tescaroli, che sottolinea come le indagini abbiano appurato una sostanziale discriminazione etnica “con i lavoratori africani non solo costretti a svolgere le mansioni più faticose ma anche, ripetutamente, oggetto di scherno, insulti razziali e scherzi di cattivo gusto”. Un esempio che viene citato: Iacomino avrebbe mostrato una pistola a salve minacciandoli con atteggiamento intimidatorio.