Pecci, Mazzetti lancia l’idea privatizzazione. "Fallimento politico. La gestione va rivista"

La deputata di FI: "Chiesto chiarimenti al ministero. Perché non è stata affidata la guida a un pratese con a cuore la città e i suoi simboli?"

Il Centro Pecci
Il Centro Pecci

Prato, 8 settembre 2023 – “La gestione del Pecci è l’emblema del fallimento delle politiche culturali del Pd, tra conti che non tornano, nonostante i soldi pubblici copiosamente dati, licenziamenti in tronco, come se la colpa dei conti in rosso fosse dei lavoratori e non del manico". È un duro attacco quello di Erica Mazzetti, deputata pratese di Forza Italia, dopo il licenziamento di due lavoratori e il bilancio 2022 in perdita di 333 mila euro. Mazzetti incalza: "Tutta la gestione del Pecci, il più importante museo cittadino e a valenza europea, in una struttura avveniristica e unica, il museo che dovrebbe custodire la nostra identità e proiettarla nel mondo e nella contemporaneità, è da mettere sotto accusa e da rivedere subito, valutando anche la privatizzazione visto che il pubblico, anche qui, ha palesemente fallito". Mazzetti apre alla possibilità di privatizzare il museo di viale della repubblica.

“È stato selezionato un economista – non un uomo d’arte o un profilo spiccatamente culturale – che dovrebbe essere esperto e competente, almeno in quanto a soldi (soldi degli altri, cioè pubblici), e poi – puntualizza Mazzetti – i conti non tornano e a farne le spese sono solo e soltanto i lavoratori. Ricordo che il centrodestra al governo della città propose Sgarbi che, ovunque operi, dimostra sempre di saper attivare un circuito culturale ma appena insediato il Pd bocciò la sua candidatura, evidentemente perché aveva altre idee. Suggerisco di prendere in considerazione per il prossimo futuro un nome meno blasonato e reboante e un po’ più concreto, più pratese che sappia dare una prospettiva, che abbia a cuore la città e non solo il suo portafoglio. Mi sono attivata – conclude la parlamentare – per fare dovuti approfondimenti sulla gestione del Museo, coinvolgendo anche il ministero della Cultura".

Il ’caso Pecci’ è scoppiato dieci giorni fa in seguito al licenziamento di due dei 18 dipendenti (17 più il direttore Stefano Collicelli Cagol). Entrambi i licenziamenti sono stati comunicati via raccomandata. Le motivazioni addotte? Motivi economici, per un aggravio di costi che la Fondazione non può più sostenere. "L’importo ipotetico dei licenziamenti è inferiore a 60mila euro, non crediamo che questo possa risolvere i problemi della fondazione Pecci", ha detto più volte Patrizia Pini, responsabile enti locali nella segreteria Uil funzione pubblica Toscana. Di certo i due licenziamenti hanno acceso il dibattito sul ‘senso’ del Pecci, proprio alla luce dei numeri che raccontano un quadro tutt’altro che roseo: meno di 1300 biglietti interi staccati per le mostre nel 2022, oltre 330mila euro di perdita d’esercizio, più di due milioni di contributi pubblici, di cui 1,2 dal Comune di Prato e 730mila euro dalla Regione.

Le mostre nel 2022 sono costate quasi 350mila euro (Massimo Bartolini e Il giardino dell’arte le più care). E anche il Centro Pecci ha fatto i conti con la stangata delle bollette: 440mila euro contro i 167mila del 2021, con un incremento dell’energia di quasi il 300% (250mila euro in più). E ci sono i 770mila euro per il personale a cui si aggiungono 137mila euro per le collaborazioni e i 440mila per altri servizi prestati. Sul caso si sono espressi in questi giorni anche il sindaco Matteo Biffoni e l’assessore alla Cultura Simone Mangani chiedendo a presidente e consiglio di amministrazione del museo "spiegazioni per i due licenziamenti". Intanto per il 12 settembre il Cda del Pecci ha convocato i sindacati, mentre la Regione ha chiesto un incontro con consiglio di amministrazione e sindacati in agenda il 21 settembre.

re. po.