
Firenze, 7 settembre 2023 – “Non dobbiamo far perdere a questo museo la possibilità di vivere. E sarebbe uno spreco tenerlo così come è adesso".
Nel suo Dna c’è l’arte antica. Fabrizio Moretti, come lo era il padre Alfredo, è prima di tutto un celebre antiquario e mercante, che dal 2014 guida anche la Biennale d’Antiquariato di Firenze.
Ma nato e cresciuto a Prato, anche se giovanissimo, lui se li ricorda bene i primi anni del Museo Pecci, inaugurato nel 1988. Artisti a volte sconosciuti, o comunque poco noi, che trasformavano la città laniera in una ribalta dal profumo newyorchese o londinese. E cresciuto in mezzo a gallerie, mostre e monumenti, Fabrizio Moretti ha capito che l’arte, antica o moderna, è una sola. E che c’è bisogno degli artisti di ieri, ma anche di quelli dell’oggi.
Moretti, cosa pensa delle difficoltà del museo Pecci?
"E’ stata la più grande occasione mancata della Toscana. Questi grandi musei se non godono di finanziamenti non possono andare avanti. Prato o la Regione devono investire per portare al Pecci grandi mostre ed eventi. Se al Pecci si fosse fatto come Palazzo Strozzi a Firenze col direttore Galansino, il museo ne avrebbe sicuramente beneficiato. E’ chiaro che se non ci sono fondi e la struttura diventa solo una macchina che brucia denari, non si va da nessuna parte. E anche gli sponsor non arrivano, perché non c’è ritorno d’immagine".
Quindi, che strada prendere?
"Sono due le cose che a questo punto si possono fare: una più drastica, chiudere e addio a tutto. Ma sarebbe profondamente sbagliato. La seconda è invece creare un pool con la Regione per promuovere una campagna di grandi mostre. Magari proprio insieme a Strozzi ".
L’essere fuori dalle grandi direttrici culturali, tipo Roma o Milano non è un limite?
"No, non ci credo. Se c’è uno chef stellato in cima a una montagna, ci sarà sempre la fila, se vale la pena andarci. Certo, servono fondi per riportare questa istituzione alle glorie di quando ha aperto. Ricordo grandi mostre, da Schnabel, Acconci, Mapplethorpe, Cucchi. Il Pecci dedicò una mostra a Domenico Gnoli, vent’anni prima della Fondazione Prada".
Lei parla di fondi, ma il Pecci era nato con una “natura“ pubblico-privato, dove ognuno doveva fare la sua parte.
"E’ vero. La grande Prato degli anni Novanta ricordo che pullulava di industriali molto facoltosi. E i pratesi, a differenza dei fiorentini, hanno sempre amato spendere. I pratesi non sono di braccino corto, come si dice in Toscana. Quindi era perfetto per il Pecci. Poi l’economia è andata come è andata. Ma un luogo come quello non si può lasciare alla deriva. Abbiamo un direttore molto bravo, un ragazzo giovane che fa ottime cose, progetti molto importanti ma forse un po’ sofisticati per il grande pubblico, che non li percepisce, perché viviamo in un mondo di ignoranti, di caproni. Quindi servono mostre, come fa Strozzi, dove va il popolo. Posso fare un appello e un rimprovero?"
Certo, rivolti a chi ?
"A tutti. Rimprovero a Prato di non aver mai costruito una bella struttura alberghiera, che porterebbe indotto. Altro rimprovero a pratesi e fiorentini, è non aver realizzato una navetta per collegare le due città senza troppi problemi. Anche questo aiuterebbe l’arte".