
di Olga Mugnaini
FIRENZE
La Toscana, terra di arte antica, da decenni crede nei linguaggi contemporanei, convinta che il mondo di oggi debbe essere raccontato e vissuto con sguardo moderno. Anche per questo la Regione ha rinnovato il suo bando a sostegno dell’arte contemporanea che quest’anno mette a disposizione risorse per 350mila euro.
Ma allo stesso tempo il museo Pecci di Prato, il primo e più importante centro d’arte contemporanea d’Italia, nato nel 1988 e all’epoca secondo solo al Castello di Rivoli di Torino, langue fra debiti in bilancio, licenziamenti improvvisi e scarsa visibilità. Con l’aggiunta di un rapporto mai definito con la vicina Firenze che invece, nel campo dell’arte contemporanea, da diversi anni ha ingranato la marcia giusta. A cominciare dal Museo Novecento, col direttore Sergio Risaliti, pratese, che il Pecci ha visto nascere e crescere, convinto della necessità di un dialogo artistico più stretto fra le due città.
Risaliti, il Pecci non sta vivendo una bella stagione. Possibile che due realtà così vicine, Museo Novecento a Firenze e Pecci a Prato non possano fare sinergia?
"Certamente la collaborazione fra due grandi realtà, una più giovane come noi e una più storicizzata come il Pecci, può fare solo bene al territorio e alla regione, superando quelle inesistenti distanze che sembrano esserci ma che in realtà non ci sono. Io ho sempre detto che sono due realtà complementari".
In che senso?
"Il Museo Novecento ha una collezione più proiettata sui primi cinquant’anni del XX secolo, mentre il Pecci è più giusto che vada ad arricchire una raccolta più strettamente legata al contemporanea messa insieme nei 35 anni della sua vita".
Progetti comuni possibili?
"Ne abbiamo già parlato col direttore del Pecci Stefano Collicelli Cagol e col presidente della Regione Giani, a cominciare dal progetto di formazione per giovani artisti e curatori, riprendendo proprio la scuola per curatori che ci fu a Prato negli anni Novanta. Diciamo che Pecci e Museo Novecento sono e possono essere punti di riferimento e traino per tutta la regione, senza nulla togliere ad altre realtà che fanno molto bene sul territorio toscano".
Firenze ha provato ad aver un suo centro d’arte contemporanea col progetto del Meccanotessile.
"Credo che la vicenda sia stata risolta col Museo Novecento, il Meccanotessile ormai è naufragato da tempo. Il contemporaneo lo facciamo non solo in piazza Santa Maria Novella, ma al Forte Belvedere, e portando gli artisti nelle piazze della città, nei palazzi, nei musei...non serve mettere in piedi altre stutture faraoniche e costose".
Che cosa è mancato al Pecci negli ultimi anni?
"Non sta a me dirlo...ci sono stati momenti difficili ma anche altri importanti. E comunque un museo che ha una storia così importante va solo valorizzato, difeso, sostenuto per superare le difficoltà. Anche perché magari il contesto è complicato".
Cosa intende per complicato?
"Da pratese so cosa è stata Prato nel passato e cosa è adesso. E’ una città che ha subito trasformazioni, metamorfosi, momenti di profonda crisi e di rinnovamento".
Prato comunque è partita prima, pensiamo alla scultura di Henry Moore in piazza San Marco.
"Era la natura del pratese essere più spinto verso l’innovazione, il rischio, la sperimentazione. Firenze col suo grande peso storico artistico era più lenta nell’entrare nella contemporaneità. Ma non dimentichiamo le bellissime stagioni fiorentine degli anni Settanta e Ottanta. Non a caso la mostra di Moore fu al Forte Belvedere e non a Prato".
Un’istituzione culturale, per quanto pubblica, può prescindere da contributi privati?
"Posso parlare di noi: siamo un museo pubblico che riesce ad avere una grande collaborazione col privato. Anche se una struttura pubblica non può prescindere dal contributo pubblico, perché ha una funzione sociale fondamentale, come una scuola o un ospedale. Inoltre, frequentare i musei d’arte contemporanea fa bene ai principi di tolleranza e apertura mentale. Strutture che, oltretutto, possono invertire la rendita d’imposizione e proporre un’alternativa al turismo di massa e al monopolio del Rinascimento".