
Il rientro della Bandiera di Guerra ha segnato la fine dell’impiego nei Balcani. Bergagna è tra i militari più giovani ad aver partecipato all’operazione ’KFor’. "Svolgiamo i nostri compiti con grande attenzione alle tradizioni locali".
PEC (Kosovo)
Quando è nato, i militari della missione Kosovo Force stavano pattugliando il crinale dove scorre l’ipotetico confine fra Kosovo e Serbia già da cinque anni. Negli ultimi mesi, e fino a pochi giorni fa, gli stessi percorsi – all’interno di un blindo e anche a piedi – li ha controllati anche lui. Cosa lo aspettasse in questo territorio ha iniziato a saperlo prima durante la fase di addestramento e poi, una volta arrivato a Pec, nel ’Camp Villaggio Italia’ del Regional command West, in maniera diretta, giorno per giorno. A volte in pattuglia nelle strade dei paesi, altre – appunto – sulla Admistrative boundary line, ovvero quella ’linea’ tracciata sulla cartina che si tenta di far diventare un confine pacificamente riconosciuto da entrambe le parti. Giacomo Bergagna, originario di Udine, soldato in ferma triennale nel 183° reggimento ’Nembo’, è senza dubbio tra i militari più giovani ad aver preso parte all’operazione ’KFor’, ma questo non gli ha impedito di arrivare qui sentendosi tanto preparato quanto motivato.
"A me questa professione piace – ci racconta durante un servizio di pattuglia nel paese di Istog – e i colleghi mi hanno aiutato molto nello svolgere al meglio i compiti che dobbiamo garantire".
Fare il militare è stata una scelta perché qualcuno in famiglia lo ha fatto prima?
"No, nessun militare nella mia famiglia. Lo ritengo un impegno particolare, sicuramente che ti consente di fare esperienze speciali. E nella Brigata Folgore mi trovo molto bene".
Prima volta all’estero, giusto?
"Sì, per me è la prima esperienza in un teatro operativo fuori dai confini nazionali. Quando mi è stato proposto ho detto subito di sì, senza esitazioni".
Ventuno anni, sei mesi in Kosovo. I tuoi familiari non erano preoccupati?
"All’inizio un po’ sì, lo erano. Ma sanno che questa è la mia scelta, la mia passione, per cui mi stanno assecondando in ogni momento. E sanno anche che sono esperienze che mi stanno facendo crescere sia dal punto di vista professionale sia da quello umano, come persona".
E c’è necessariamente un impegno importante.
"Non ci sono mai uscite in pattuglia una uguale all’altra, ogni luogo e ogni momento rendono diversa qualsiasi cosa sotto molti aspetti. L’attenzione deve restare sempre ai massimi livelli".
Uno su tutti, la necessità di creare un clima di fiducia con la popolazione civile.
"Sì, questo è davvero un aspetto molto importante. Tutto ciò che dobbiamo fare deve essere svolto con grande rispetto delle tradizioni dei luoghi dove ci troviamo e anche del principio di imparzialità".
E ci riuscite?
"Con noi militari italiani la popolazione è molto cordiale. Adulti e bambini si avvicinano senza alcun timore e, anzi, spesso vogliono parlare con noi. Capita che qualcuno ci racconti anche un po’ della sua vita, magari perché per un periodo di tempo ha lavorato in Italia".
E dal punto di vista professionale, invece?
"Mi ha insegnato molto. L’ho detto, mi ha indubbiamente fatto crescere anche sotto questo aspetto. Anche perché potendo lavorare insieme a colleghi di altri Paesi in esercitazioni congiunte impari e capisci sempre qualcosa in più".
Di questo territorio così particolare cosa ti ha colpito di più?
"Diciamo che ho capito meglio quale sia la complessità di questa area. Qui il concetto di ’multietnico’ passa dalla teoria alla pratica. Basta fare due passi in ogni paese per vedere che nello spazio di poche centinaia di metri possiamo trovare un monastero, una moschea e una chiesa".
Te lo aspettavi così?
"La fase di addestramento che abbiamo fatto in Italia prima di partire è stata molto accurata, molto particolareggiata. La realtà che mi sono poi trovato a vivere è stata quella che mi aspettavo, insomma. Sì, la preparazione che abbiamo avuto è stata fondamentale e perfetta".
Hai 21 anni, cinque in meno di quanti ne ha già questa missione. Ci avevi mai pensato a questa cosa?
"Una cosa l’ho capita: ho capito di quanto sia stato grande l’impegno dei militari italiani anche in questo territorio. Ho ascoltato i racconti dei colleghi più grandi e più esperti di me, ho capito quale fosse la situazione iniziale e ora ho visto quale sia l’attuale. Di lavoro ne è stato fatto tanto, ma l’attenzione non deve calare".
Giacomo poi riprende la marcia con i colleghi, c’è quell’ipotetico confine da tenere sotto controllo. I pericoli arrivano anche dai contrabbandieri e dai delinquenti comuni. Perché in questa parte dei Balcani continuano a non farsi mancare nulla. Purtroppo.