
Tommaso Strambi
Pisa, 30 aprile 2017 - Qualcuno chiami Trump. E lo faccia in fretta. Perché in certi casi il tempo è tutto. Il 31 dicembre 2018 è dietro l’angolo. Quel giorno, infatti, il chiomato presidente americano restituirà al nostro Paese una bella fetta della base di Camp Darby. Un’area decisamente ampia che potrà tornare al demanio militare così come essere destinata anche a usi civili. Ma, appunto, occorre fare presto. E, soprattutto, è necessario avere le idee chiare. Conoscendo i tempi di reazione dei nostri Palazzi il rischio, più che concreto, è quello di trovarsi alla vigilia di quella scadenza senza il men che minimo progetto di come recuperare una fetta importante del nostro territorio comunale. E questa sarebbe davvero una grande occasione mancata. L’area che il Pentagono si appresta a liberare, infatti, è quella cosiddetta ‘ricreativa’ composta da campi sportivi, piscina, scuole, caserme e foresterie. Ettari di terreno e volumi già accatastati che potrebbero essere riconvertiti a favore della città.
Quando, nel 2015, gli Usa hanno stilato il piano di spending review che prevede minori spese per 500 milioni di dollari l’anno e la chiusura entro il 2021 di quindici basi a stelle e strisce presenti in Europa con una riduzione di 2.000 unità rispetto ai 67.000 militari americani sparpagliati nel vecchio continente tra cui appunto quella tra Tirrenia e il Tombolo, qualcuno ha ipotizzato, vista la destinazione per oltre 60 anni ad area militare, di andarvi a collocare una base o un centro di addestramento per l’Esercito italiano. Una soluzione di continuità, appunto, rispetto a quanto avvenuto a partire dal 1951. Un’ipotesi buttata lì. Anche giusta, va riconosciuto. Ma, in realtà quell’area ‘ricreativa’ può diventare il perno su cui riprogettare la Pisa dei prossimi decenni. Perché oltre alle caserme (ancora oggi ospitate in città visti i tanti progetti sono abortiti nei cassetti del Palazzo) vi potrebbero confluire anche facoltà universitarie, laboratori di ricerca e strutture ricettive. Senza la necessità alcuna di colate di cemento, per buona pace degli oltranzisti in servizio permanente effettivo. I volumi, infatti, ci sono già e anche il rapporto con gli spazi verdi rimarrebbe inalterato. Una soluzione che potrebbe interessare in principal modo le Università pisane che avrebbero, finalmente, la possibilità di riunire sotto un ‘unico tetto’ molto di quel patrimonio oggi sparpagliato in qua e in là. Un’opportunità da raccogliere al volo e che, invece, ancora una volta rischia di finire in fondo a qualche cassetto del Palazzo. Ma il tempo, come detto, stringe. Gli americani, da pragmatici quali sono, hanno già cominciato la loro ritirata e nei mesi scorsi hanno iniziato a definire (e non con un muro) i confini della nuova base di Camp Darby. Sul versante italiano, invece, nessun segnale. Anzi, solo un preoccupante silenzio. Ecco perché occorre che qualcuno alzi il telefono e componga il numero della Casa Bianca (ovviamente è un’iperbole, il numero da fare è quello del Governo italiano) per definire bene e con precisione a chi debba andare l’area che verrà liberata: se al demanio militare o a quello pubblico. Oppure ad entrambi. L’importante è, appunto, avere un’idea chiara di quello che ci si intende realizzare. Un’adeguata progettualità può portare enormi benefici all’intera comunità. E il momento per pensarla è ora. Domani potrebbe essere già troppo tardi.
Buona domenica.