
di Saverio Bargagna
Trucco vecchio, eppure efficace. Atteggiamento professionale e un guadagno immediato a fronte di un primo piccolo investimento, così da conquistare la fiducia degli investitori. Quindi, una volta ottenuto il grosso del malloppo, sparire nel nulla, anzi (ancor peggio) far chiamare da un complice esperto in ‘recupero crediti’ e far sparire altro denaro. Una banda organizzatissima per un’inchiesta lunga due anni condotta dai carabinieri di Pisa ha portato all’arresto di tre persone: due albanesi e un italiano, al quale si aggiunge la denuncia anche per un quarto complice. Quanti gli investitori truffati? Impossibile condurre una reale stima: decine, forse centinaia. Il giro d’affari stimato? Intorno ai 15 milioni di euro.
Modus operandi. Ma come agiva la banda italo-albanese? Tre gli step. La banda, attraverso un call center dislocato a Tirana e non identificabile, contattava le vittime telefonicamente. L’approccio consisteva nel garantire un immediato guadagno economico a fronte di un piccolo investimento delle vittime. Successivamente la vittima - confortata dalla consultazione di una ingannevole piattaforma internet, del tutto fittizia -, veniva poi contattata da un finto broker e convinta ad investire sempre più denaro. In una seconda fase, veniva stabilito fra gli investitori e i falsi promotori finanziari un “rapporto di fiducia”, che consentiva a questi ultimi (tramite specifici software di controllo del pc da remoto) di accedere alle pagine personali dell’home banking delle vittime, ottenendo così contezza dei dati personali e della situazione economica di queste ultime e riuscendo, in molti casi, a convincerle ad investire l’intero capitale economico disponibile in criptovalute. Infine, in una terza fase, la vittima che scopriva l’inganno alla richiesta dell’incasso, veniva contattata, poco tempo dopo, da altri sedicenti appartenenti a società di recupero crediti che convincevano la stessa a versare ulteriore denaro per recuperare le somme perdute ovvero la inducevano a intestarsi quote di nuove società, costituite ad hoc dagli stessi indagati.
Le vittime. Impossibile stabilire quante persone la banda sia riuscita a ingannare. Le prime denunce sono però partite da Pisa, ecco perché l’indagine si è concentrata proprio in città. Numerosi i reati ricostruiti tra cui se ne citano alcuni emblematici tutti avvenuti nella nostra provincia. Una donna, ad esempio, è stata telefonicamente da un primo broker, ne ha incontrati altri in presenza che le hanno prospettavano investimenti vantaggiosi a rischio zero attraverso il trading on line in criptovaluta. I broker la inducono ad aderire all’offerta, mediante versamento in diverse tranche di denaro tramite bonifico effettuato su un conto acceso presso una banca lituana. Alla fine alla donna vengono sottratti 85.000 euro Un’altra donna, sempre della provincia di Pisa, ha seguito il medesimo iter ma ha perso 250mila euro. Particolarmente emblematico è il caso di altre due donne che, vittime di analoghi artifici e raggiri, arrivano ad investire la considerevole somma complessiva di un milione e 290mila euro, oltre ad effettuare un altro versamento per tentare di recuperare il capitale già investito.
Gli esiti. La banda però è stata individuata e fermata. Per questo tre persone – due albanesi e un italiano –, sono stati arrestati dai carabinieri pisani, in esecuzione di altrettante custodie cautelari in carcere eseguite tra Tirana, Cagliari, Padova e Piacenza dai carabinieri di Pisa, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla procuratore pisana, che ha portato al sequestro anche di tre milioni di euro nei confronti dei conti correnti e depositi bancari nella disponibilità degli arrestati ai quali si aggiunge un altro soggetto collegato, ma non partecipe alla banda dedita alle truffe. Gli indagati devono rispondere a vario titolo di associazione per delinquere, truffa aggravata ed esercizio di intermediazione finanziaria in assenza di abilitazione, connessi a investimenti di ingenti somme di denaro in titoli e criptovalute e di riciclaggio. L’indagine è stata avviata nel maggio 2019 dai militari del nucleo investigativo pisano e coordinata dal sostituto procuratore Giovanni Porpora con il supporto di Eurojust.