
La 46^ riporta a casa gli italiani dalla Libia
Pisa, 7 agosto 2014 - Sono atterrati oggi, alle 18,40, all'aeroporto militare di Pisa, accolti da parenti e dagli addetti dell'Unità di Crisi della Farnesina, i civili che hanno fatto richiesta di lasciare la Libia a seguito delle recenti vicende. Facce stanche quelle di italiani e stranieri rimpatriati nel pomeriggio da Tripoli. Sono tornati a casa dopo mesi che lavorano sul campo per assistere i connazionali in Libia. Con il volo atterrato in serata, all'aeroporto militare di Pisa, si sono concluse le operazioni di rimpatrio dei connazionali condotte dal ministero degli Esteri insieme alla 46/a brigata aerea che ha messo a disposizione i suoi velivoli. Sono 150 quelli tornati a casa nell'ultimo mese con cinque voli speciali organizzati dalla Farnesina e dalla Difesa che hanno fatto scalo proprio all'aeroporto Dall'Oro.
l rimpatrio di cittadini italiani da zone di crisi è uno dei compiti dell'Aeronautica Militare, che si addestra quotidianamente al fine d'essere pronta in tempi brevi a svolgere questo tipo di operazioni quando richiesto dalle Autorita' governative nazionali. I primi a sbarcare oggi, intorno alle 15.15, sono stati una trentina di connazionali, con loro anche numerosi bambini. E se in comune c'era il sentimento di una totale sicurezza finalmente riacquisita dopo giorni di apprensione per l'escalation delle violenze tra le milizie libiche, non sono mancati pero' punti di vista diversi sulla situazione in Africa. Per Donato Giovannini, ingegnere nel settore petrolifero, originario di Sansepolcro (Arezzo), ma residente a Milano e una vita da nomade per via del lavoro che lo ha portato a operare in 91 diversi Paesi del mondo, "Tripoli e' ormai una citta' paralizzata e la Libia un Paese fantasma ostaggio delle milizie armate".
"Le banche - racconta - non funzionano, i negozi sono chiusi e i terminal petroliferi distrutti, come tanti edifici del centro: mancano carburante e cibo. E i morti sono molti di piu' rispetto alle cifre ufficiali". Inevitabile quindi il rientro: "L'assistenza dell'ambasciata e' stata perfetta, ci chiamavano 3-4 volte al giorno. Non nascondo che ho avuto paura di morire, soprattutto durante le riunioni in ufficio spesso sotto i bombardamenti con razzi che hanno distrutto edifici vicino al nostro". Diversa invece l'opinione di un altro ingegnere, Alberto Cappellini, milanese e attivo nel settore meccanico. "A Misurata la situazione non era poi cosi' grave, ma abbiamo comunque deciso di accogliere l'invito della Farnesina, tuttavia da due mesi lavoro in Libia e non mi sono mai sentito in pericolo". Altrove pero' regna il caos totale e, conclude Giovannini, "il Paese rischia di diventare come l'Afghanistan degli anni scorsi: e' una guerra senza quartiere, casa per casa, tra i jhiadisti e gli islamici moderati".