REDAZIONE PISA

La fuga disperata di Lele

"Panella lo inseguì: il parà si rifugiò sulla torretta, ma fu fatto cadere"

di Carlo Baroni

Cercò la fuga sulla torre di asciugatura dei paracadute. La scalò, in quella manciata di secondi di terrore e dolore, per sfuggire alle violenze dei "nonni". Emanuele Scieri, 26enne parà siracusano, trovato morto il 16 agosto del 1999, occultato sotto un tavolo della caserma Gamerra di Pisa, ne scalò almeno una decina di metri, salendo dall’esterno, già provato dalla percosse, credendo di riuscire a mettersi in salvo e magari, una volta in cima, prendere il cellulare che aveva nel marsupio e chiedere aiuto. Inutile. L’ex caporale Alessandro Panella lo avrebbe inseguito, salendo dall’interno della scala, avrebbe "continuato a colpirlo: lo testimoniano le lesioni a mani e corpo di Scieri, che gli fanno perdere la presa e precipitare", è la ricostruzione della procura. Lele non fu costretto a quella scalata. Anzi quella avrebbe potuto essere la sua unica salvezza. Le lesioni alle mani e alla gamba sarebbero incompatibili con la caduta. Ma sarebbero invece compatibili con le ulteriori percosse che Panella gli avrebbe inferto da dentro e che per gli inquirenti sarebbero riassunte in quell’intercettazione con il fratello che gli avrebbe detto: "Non l’hai mica preso a bascate". Sarebbe stato utilizzato un oggetto contundente non difficile da trovare, secondo la Procura, nel luogo del delitto, una sorta di discarica dove il cadavere della recluta sarebbe rimasto fantasma per tre giorni. Scieri sarebbe stato costretto a svestirsi parzialmente prima delle percosse e lui stesso avrebbe cercato di aggiustarsi gli abiti quando, per sfuggire alle violenze, avrebbe cercato rifugio in quella corsa disperata verso il cielo interrotta dall’inseguimento di Panella. La svolta è arrivata grazie alla nuova perizia delle professoressa Cristina Cattaneo, ordinario di Medicina Legale all’università degli studi di Milano e direttore del Labanof – Laboratorio di antropologia e odontologia forense – sui resti riesumati del 26enne parà siracusano. Quello compiuto dalla dottoressa Cattaneo è stato definito dagli investigatori un lavoro di "autentica archeologia forense", perché il perito è andato a caccia di lesioni capaci di spiegare il fatto: un incarico dato alla procura pisana - è stato precisato - con l’unico scopo della ricerca della verità. Queste risultanze (la morte istantanea del 26enne) incrociate con una serie di ulteriori approfondimenti sul terzetto di "nonni", in particolare su Panella, e sulla dichiarazioni di quello che il procuratore capo Alessandro Crini (che ha coordinato le indagini insieme al sostituto Sisto Restuccia) ha definito un testimone quasi oculare: hanno permesso di "rivedere" l’iniziale copione di un omicidio volontario che sarebbe avvenuto per motivi abietti e futili. Un atto di nonnismo portato alle estreme conseguenze di cui Panella sarebbe il principale protagonista, ma che la procura mette in capo anche agli altri due che erano con lui (Andrea Antico e Luigi Zabara) e che con lui parlottarono dopo il fatto in quella notte incandescente e convulsa. "Origliati" da un testimone che anni dopo ha "parlato" aprendo le porte ad un copione che, secondo gli inquirenti, pur a distanza di 21 anni, chiarisce uno degli ultimi misteri del secolo scorso. Una tragedia rimasta incagliata a lungo, tra insabbiamenti ed omertà.