
di Saverio Bargagna
Sono passati molti anni, pieni di pace e di guerra, e di quello che si usa chiamare comunemente Storia. Nella televisione posizionata in salotto va in onda la prima puntata del quiz televisivo "Lascia o raddoppia?": Mike Bongiorno sorride in bianco e nero. E’ il 1955 quando Argentino Troilo compra quei terreni che da Fauglia si estendono lungo il dorso delle colline verso Orciano Pisano. Terre arse dal sole, ma benedette dalla natura: "Qui sorgerà la mia azienda agricola".
Oggi il figlio Antonio e il nipote Francesco faticano ancora lungo gli stessi crinali, come se il tempo fosse una mera ruota: che sia sole o sia pioggia bisogna faticare, ogni giorno, ogni anno. "Una vita di sacrifici – racconta Antonio ancora a bordo del proprio trattore –. Chi fa questo lavoro non vuol diventare ricco. Tuttavia, chiediamo di condurre una vita dignitosa e per farlo abbiamo bisogno di certezze". Antonio Troilo ha un sorriso amaro quando pronunciamo la parola ’guerra’: "Sono anni che portiamo avanti le nostre richieste e restiamo puntualmente inascoltati – dice –. Adesso, invece, lo Stato si accorge improvvisamente di noi e della nostra importanza perché è scoppiata la guerra in Ucraina. Bene e appena finirà che cosa accadrà? Le dico io cosa succederà: torneremo ad essere considerati inutili. Torneremo a comprare il grano all’estero".
Le battaglie di Troilo, così come degli altri imprenditori agricoli di Pisa, non hanno solo una ricaduta per il settore economico "ma più in generale solo per la salute di tutti. I cereali che importiamo non sono buoni e salutari come i nostri. Arrivano chiusi in container, talvolta neppure ben sigillati. Viaggiano per settimane. Delle partite giungono in Italia piene di muffa. E poi che cosa accade? Questi prodotti, finiscono sulle nostre tavole". Troilo continua: "I cereali toscani – dice – non devono essere trasportati e sono coltivati usando prodotti controllati e certificati. Lo diciamo da anni: non è in ballo soltanto il nostro lavoro, ma la salute di tutti quanti. Eppure...".
Le balle di fieno giacciono accatastate disegnando, sulle colline tanti punti colorati. Il sole alto picchia con forza. "L’altro problema – continua Antonio – è legato ai costi. Se il grano viene acquistato a meno di 50 euro al quintale significa che l’agricoltore è costretto alla fame. E’ impossibile rientrare nei costi. Le faccio qualche esempio. Posso? Oggi il costo del concime ha superato i 100 euro. A novembre l’ho pagato 64 euro più Iva e ne ho fatto scorta pensando che mi sarebbe servito. Gli anni scorsi si comprava a 28 euro al quintale". E poi, ovviamente, c’è da fare i conti col rincaro del gasolio: "Ormai alle stelle sia per quanto concerne i mezzi agricoli che per il nostro furgoncino" Già perché l’azienda può vivere soltanto se, oltre a produrre, riesce anche a vendere direttamente al consumatore: "Per questo ogni mattina mi reco a San Rossore per vendere i nostri prodotti. Poi quando torno, eccomi a lavorare nei campi".
Cento ettari a gestione familiare. Una meraviglia e, al tempo stesso, un impegno per la vita. "Lo Stato permetterà la coltivazione di nuove terre? Benissimo, ne prendiamo atto. Ma se poi i commercianti ti strozzano sul prezzo, minacciando di prendere il grano canadese, è tutto inutile. Il rischio è quello di investire in rimessa. Chi lo farebbe? Chi lo farà?". Nelle colline pisane forse giace una risposta.