FRANCESCA BIANCHI
Cronaca

Il sopravvissuto al covid scrive lettera all'ospedale: "Angeli vestiti da astronauti"

La testimonianza di Paolo Mazzei: "Avevo paura di non tornare a casa"

Personale sanitario

Pisa, 21 dicembre 2020 - Quegli agli "angeli vestiti da astronauta" a cui lui scattava foto dal suo letto in terapia intensiva. E poi le notti, nella camerina a tre. "Il primo che si svegliava chiamava tutti. L’importante era non pensare". E quel compagno di stanza che non ce l’ha fatta. "L’ho visto morire, aveva 54 anni". Paolo Mazzei ha 70 anni, fa parte del Comitato direttivo nazionale dell’Unione Nazionale Mutilati e Invalidi per Servizio di cui è il presidente provinciale. Anche lui è un sopravvissuto del Covid: "Sono sempre stato prudente, uscivo pochissimo e sempre con la mascherina. Impossibile sapere o immaginare che come e dove possa essermi contagiato". Ma a distanza di settimane dal ritorno a casa il 10 dicembre scorso, adesso vuole solo dire grazie.

Lo ha fatto con una lettera indirizzata all’Aoup nella quale racconta dei suoi "angeli": "Li ho visti correre da una stanza all’altra, da un malato all’altro prodigandosi per lenirti qualsiasi dolore e sempre con gli occhi sorridenti, l’unica cosa che si poteva vedere di loro".

Era il 27 novembre quando per Paolo Mazzei, è scattato il ricovero al Pronto Soccorso Covid. Già in nottata il trasferimento in terapia intensiva al Santa Chiara, il 29 pomeriggio quello a Medicina IV di Cisanello. "Un raffreddore, è iniziato tutto così. Essendomi vaccinato per l’influenza e non avendo altri sintomi ero abbastanza sereno.

Poi ad un certo punto è salita la febbre, prima 37,4 poi 39.5. Il medico curante ha attivato la procedura con l’Usca, sono stato portato al pronto soccorso con il 118 e qui sono stato sottoposto a una tac ai polmoni. Subito è stato iniziato il primo ciclo con il casco per la respirazione assistita, che è proseguito nella terapia intensiva del Covid Hospital del Santa Chiara.

Adesso sono a casa, ancora positivo ma a bassa carica, sono passati 21 giorni e potrei anche uscire ma preferisco di no". Le immagini e i volti dei giorni del ricovero però non lo abbandonano: le ore trascorse a scrivere storie sul cellulare da inviare alla nipote, la "presenza costante e continua" di medici e infermieri, il legame stabilito con un compagna di stanza non vedente ancora ricoverata.

"Quando sono salito su quell’ambulanza mi chiedevo se sarei mai riuscito a tornare a casa. I primi giorni sono stati durissimi.. Ho provato sulla mia pelle lo strappo e la violenza che questo virus fa al tuo corpo. Ma ho avuto al mio fianco gli Angeli che riescono, anche a loro spese, a colmare ciò che di più atroce ed inumano questo Covid ti lascia: la più totale solitudine".