"Non esiste la libertà d’offesa". A dirlo Marco Martinelli, ricercatore affiliato alla Scuola Superiore Sant’Anna e divulgatore scientifico sul web, che con i social e le parole ci lavora ogni giorno, consapevole delle opportunità ma anche dei rischi che spesso si celano nel mondo digitale.
Quali sono i rischi che si corrono sui social?
"Essendo uno specchio di ciò che succede nella vita reale, i social possono essere un ambiente rischioso e anzi spesso amplificano certe ‘bolle’ che poi si traducono in bullismo e cyberbullismo, in persecuzione e violenza verbale. Questo è un aspetto preoccupante per le persone più fragili, per chi è molto giovane o per chi per esempio sta affrontando un percorso di transizione".
Come proteggersi?
"Io e altri creator abbiamo lanciato una campagna, ‘Sicuri su TikTok’, non solo per sensibilizzare sull’importanza delle parole, ma anche per invitare gli utenti a utilizzare determinate impostazioni che ti consentono di limitare le offese".
In che modo?
"Bloccando i contatti, limitando la visibilità dei post o ciò che determinate persone possono fare sul tuo profilo. Un’altra opzione, ad esempio, è la restrizione dell’uso di certe parole sotto un determinato post per evitare che compaiano commenti offensivi".
Non si rischia di limitare la libertà di espressione?
"La libertà di parola è sacrosanta, ma non deve mai diventare libertà di offendere. Le offese gratuite, fatte solo per ferire, non possono essere giustificate come espressione di un’opinione".
Quali potrebbero essere altre soluzioni?
"Un passo potrebbe essere collegare i profili social a documenti di identità. In questo modo, chi offende sarebbe più facilmente identificabile e potrebbe essere perseguito legalmente. Ad oggi, lo schermo protegge gli haters dall’assumersi la responsabilità delle proprie azioni".
Ma quindi il mondo virtuale deve essere demonizzato?
"Assolutamente no. I social hanno anche tanti aspetti positivi: ci sono persone che fanno divulgazione e che cercano di trasmettere un’iniezione di positività e benessere alla comunità. In più, la nostra generazione è più sensibile all’uso di un determinato tipo di linguaggio e questo è positivo. Maturare una certa sensibilità significa fare un passo in avanti verso nuove leggi". S.T.