
L’area riservata ai disabili nello stadio dei Marmi. La rabbia degli interessati
Carrara, 2 settembre 2025 – Doveva essere una festa, una giornata di sport e passione. Invece, per molti tifosi disabili accorsi domenica allo stadio per sostenere la Carrarese, la partita si è trasformata in un’amara esperienza di esclusione. “Un gazebo scintillante ma indegno – così lo definisce Francesca Salvi, 27 anni, tifosa storica su sedia a rotelle per una paralisi cerebrale infantile. “Andare allo stadio significa essere parte dell’entusiasmo della tifoseria, respirare appartenenza e inclusione. Ma ieri ci siamo trovati davanti a una gabbia che non ci permetteva di vedere il campo. Dalla seconda fila la visuale era oscurata da una robusta grata. Che senso ha proteggermi dalla pioggia, se poi non vedo la partita?”.
Un paradosso che suona come beffa. In passato, racconta Francesca, i tifosi con disabilità potevano accedere con fatica alle gradinate centrali, ottenendo almeno una posizione dignitosa e condividendo l’entusiasmo con il resto della curva. “Ora veniamo relegati in un angolo che chiamiamo ’Settore Nelson Mandela’. Di inclusivo non ha proprio nulla: troppo piccolo, affollato e privo di visuale”. E pensare che la Serie B impone due posti riservati ogni 400 persone, quindi a Carrara dovrebbero risultare 20 posti per disabili e 20 per accompagnatori.
A ribadire l’indignazione è Lanmarco Laquidara, padre di Edoardo, tifoso ormai storico, che parla senza mezzi termini di “pollaio”.
“Molti più disabili di quanti il settore potesse contenere si sono trovati davanti a una sorpresa assurda: la chiusura degli spazi coperti del rettilineo, che lo scorso anno avevano garantito buona visione. Un piccolo rimedio all’incapacità dell’amministrazione. Ora invece un addetto in stile ’cane da guardia’ impediva l’accesso, cancellando ogni possibilità di vivere la partita”. Il nodo è la mancanza di rispetto dei diritti. “I disabili non sono due o tre, come qualcuno ha sostenuto. Sono molti di più, e quando una squadra milita in Serie B arrivano anche da altre città. Perché negare loro due ore di svago, che possono significare molto di più di una semplice partita?”. La rabbia dei tifosi è anche politica. “Chiudere il rettilineo è una lesione dei diritti – attacca Laquidara –. Non importa se l’ordine arriva dal sindaco, dal ministro o dal presidente della Repubblica. Un’amministrazione deve avere il coraggio di difendere i cittadini più fragili. E invece ci ritroviamo con un gazebo-apartheid che grida vergogna”.
Un paradosso ancora più bruciante se confrontato con l’atteggiamento della società sportiva: “La Carrarese – conclude Laquidara – ha sempre fatto tutto il possibile per accoglierci in modo decoroso. È l’amministrazione comunale che ha fallito”. Ora la richiesta è chiara: rimuovere immediatamente la grata che impedisce la visuale e riaprire gli spazi coperti sotto le gradinate, restituendo dignità a chi vuole soltanto tifare la propria squadra. Perché l’inclusione non può restare un concetto astratto nei discorsi ufficiali. L’inclusione è azione, è permettere a tutti di esserci. E domenica, allo stadio dei Marmi, l’inclusione non c’era.