Erano undici, tutti attori meno una, la prima, emigrata in America. Sono gli antenati di Renato De Rosa, eminente professionista ed erudito carrarese, erede di una stirpe di teatranti itineranti che ancora oggi, al paese di origine di uno di loro, quando qualcuno bluffa giocando a carte gli dicono "Fai il De Rosa" per dire "Fai l’attore". Nacquero tutti in paesi diversi, dove in quel momento i genitori recitavano. Adesso De Rosa raggiungerà tutti questi paesi per raccontare chi erano suo nonno e i di lui fratelli con un piccolo spettacolo e per posare una lapide in marmo bianco. Comincia oggi a Petrella Tifernina, paese di Luigi, e il 19 a Macchiagodena, dove nacque Ubaldo, in Molise, poi il progetto andrà avanti in autunno e l’anno prossimo.
"Era stata una lontana cugina di mio babbo a iniziare questa ricerca ma era vecchia e voleva che fossi io a portarla avanti. L’ho lasciata qualche anno in un cassetto, poi ho cominciato dicendomi “Ci vorrà un paio di settimane”: mi ci sono voluti 12 anni" spiega. In questa "ricerca folle" De Rosa ha ricostruito l’albero genealogico, ha compulsato archivi comunali, uffici dell’anagrafe, ha raggiunto lontani parenti, persino quelli americani discendenti della primogenita Ida, stupiti che fosse stato un parente dall’Italia a rintracciarli quando loro non erano riusciti a ritrovare i parenti italiani, e a ognuno di loro ha chiesto di condividere quello che sapevano, storie, ricordi, fotografie, copioni. Ha sfogliato migliaia di pagine di riviste di teatro, girato archivi, parlato con centinaia di Comuni dato che ognuno dei fratelli De Rosa morì in posti diversi, cioè dove stava recitando in quel momento.
Erano tutti bravissimi ma non riuscirono mai a raggiungere i grandi palcoscenici perché furono dei ribelli, antifascisti anche durante il Ventennio. Spesso cambiavano titoli, battute, ambientazione per aggirare la censura e infarcire i loro spettacoli di propaganda contro il regime e per tessere elogi della libertà e della democrazia, ma si raccomandavano con il pubblico di non applaudire troppo perché loro godevano comunque del salvacondotto di attori, mentre il popolo sarebbe andato incontro a conseguenze. Spesso non riuscivano a trovare teatri dove recitare, spesso gli negavano l’autorizzazione, in pratica venivano fermati con la burocrazia. Partirono tutti per la prima guerra mondiale e abbastanza miracolosamente tornarono tutti. A decretare la loro fine, tra il secondo dopoguerra e il ‘54-‘55, fu l’avvento della tv e del cinema, quando i teatri di paese vennero convertiti in cinema e le compagnie non trovavano più posti dove recitare. Comprarono dalla famiglia Rame (di Franca Rame) un teatro in legno da montare nelle piazze, il “baraccone”, ma ormai il loro ruolo era perduto, ormai erano poco più che saltimbanchi da circo.
Ognuno seguì la sua famiglia e morirono uno lontano dall’altro, nessuno di loro ebbe l’onore di morire su un palcoscenico. Anche il padre di De Rosa era attore, di Codigoro in provincia di Ravenna, sposò un’avenzina conosciuta quando venne a recitare qui, continuarono insieme per qualche anno. Come Forrest Gump incrociarono per caso le vite di tanti italiani famosi, da Gian Maria Volontè che iniziò con loro a Italo Balbo a cui uno dei fratelli salvò la vita in uno scontro tra fascisti e socialisti, furono amici di Guareschi e incontrarono D’Annunzio. Renato De Rosa ha già dedicato loro uno dei suoi sette libri, “Figli d’arte”, adesso li riporta nei loro paesi d’origine perché non si perda la loro memoria.