Una storia dimenticata, scarsamente ricordata dai manuali scolastici, pressochè ignorata dalle nuove generazioni per colpa di una imperdonabile trascuratezza delle istituzioni che dalla fine del Secondo conflitto mondiale tacquero e ignorarono. Non ci furono iniziative, né cortei, né onorificenze per chi ritornava dai campi di deportazione, l’indifferenza e una certa forma di disagio da parte dell’opinione pubblica che arrivò anche a pensare che quella lunga assenza fosse stata inutile, insensata, se non voluta. Il ritorno degli IMI, internati militari italiani così definiti da Hitler che intese privarli della qualifica di prigionieri di guerra per aggravare oltremodo la loro prigionia,fu silenzioso, a livello familiare furono accolti ma non ebbero né vollero raccontare, un silenzio che fu una risposta a tutto quello che avevano subito.
Da oggi nell’Antica Armeria di Palazzo Ducale si terrà la mostra “Non muoio neanche se mi ammazzano”, organizzata da ATVL Lucca, aperta a tutti con orario 10-13 e 16-18.30 un itinerario informativo su una questione storica ancora sconosciuta. Sabato 20 settembre alle ore 16.30 un convegno alla presenza di storici e ricercatori. Saranno presenti familiari di IMI e numerose testimonianze. La resistenza IMI, nota anche come l’altra resistenza, o quella senza armi, silenziosa, bianca, fu reiterata in ogni istante, per venti mesi, stressante più della fame e pagata con 50.000 caduti.
Si attuò direttamente e a rischio di morte, col sabotaggio, la non collaborazione, il lavoro rallentato anche a un terzo della norma dell’operaio tedesco e, indirettamente, consumando risorse alimentari ed economiche tedesche e facendo avvicendare per la custodia, in venti mesi, più di 60.000 militari tedeschi distolti dai fronti. Internati militari, chiusi in campi terribili, seppur diversi da quelli di sterminio; su 810.000 soldati catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, solo il 9% accettò di combattere ancora a fianco dei nazifascisti. 600 e 700mila soldati, dei quali circa il 10% morì tra esecuzioni, malattie e fame: “gli schiavi di Hitler” sottoposti in condizioni disumane a lavoro coatto, e da aggiungere a questa spaventosa cifra quelli che morirono dopo il rientro a causa degli stenti provati. Un pezzo di storia raramente, ma forse direi mai, riportata sui manuali scolastici come se quello che patirono e subirono i nostri soldati non fosse meritevole di ricordo. Un esempio innegabile di resistenza senza armi che solo dopo troppo tempo è stata esiguamente ricordata dallo stato italiano. Come dice Silvio Romano, una storia affossata in una sorta di limbo della memoria come un qualcosa da dimenticare.
Quando gli IMI tornarono dopo viaggi difficoltosi e lunghissimi furono accolti con indifferenza e una sorta di disagio da parte delle nuove istituzioni che non riservarono loro né manifestazioni di accoglienza. Né sfilate, né onori, all’interno dei nuclei familiari ci fu certamente un’accoglienza diversa ma nessuno voleva stare ad ascoltare i loro racconti, le sofferenze subite perchè tutti volevano dimenticare e ricostruire un nuovo mondo. Allora tacquero, delusi e amareggiati per essere ritenuti esclusi, estranei anche dalla sinistra che inneggiava alla avvenuta liberazione del paese solo grazie alla resistenza partigiana. L’8 settembre 1943 l’Italia si ritirò dal conflitto, la notizia dell’armistizio trasmessa da Badoglio ai comandanti delle varie divisioni provocò angoscia, confusione, sbandamento, i nostri soldati dislocati sui fronti esteri ne pagarono duramente il prezzo.
Simonetta Simonetti